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L’emigrazione interna e l’amicizia

 

C’è un acre sentore di inerzia e polvere di macerie in troppe parti del mondo. E non si tratta solamente di immaginare la devastazione di Paesi martoriati dalla guerra. Qui, ad andare a rotoli, sembrerebbe l’idea di Stato, per onorare il quale abbiamo storicamente rinunciato a tante delle nostre libertà affinché esso, il Leviatano di Hobbes, ci garantisse sicurezza, salvezza e pace. Oggi, la profondità del pensiero intellettuale si spinge ad evocare il tracollo del concetto di Stato, per usare una metafora che ben si confà in un’epoca caratterizzata dal predominio dei grandi poteri della finanza. Tutto sembra andare in direzione dell’ipertrofia del contrario: dall’idea della legalità ci si dirige verso quello che Schmitt chiamava lo “Stato di eccezione’’ e la sospensione dell’idea stessa di Diritto; dalla fattualità del Vero si va sempre più verso degli inattendibili sentito dire, le (sic!) fake news. Forse non si esagera ad ipotizzare che molti di noi, come reazione, siano indotti a vivere quella che Hannah Arendt definiva una sorta di emigrazione interna: davanti a una realtà che sfugge al nostro controllo e che ci angustia, si è portati ad optare per una disappartenenza e un rifugio interiore, ci si chiama fuori dal consesso sociale, ci si rende invisibili; una sorta di hikikomori della coscienza civica che possiamo riscontrare, ad esempio, nell’astensionismo alle urne sempre più dilagante e che dà vita a governi che non rappresentano, de facto, l’orientamento politico di una nazione. Come  recuperare un senso del vivere insieme? Come uscire dalle nefaste pastoie di una solitudine autoimposta? Forse si deve ricominciare a riallacciare relazioni autentiche con l’Altro da Sé, capire che “nessun uomo è un’isola’’, come ricordava John Donne. Bisogna ripartire da quella eccelsa forma di Amore che è l’Amicizia, da quel “ti voglio bene’’ che vale più di tutti i “ti amo’’ messi insieme. Bisogna cominciare a coniugare ogni verbo dal “tu’’. Solo ricostituendo l’antico legame della philia greca possiamo sperare di ricreare quell’appartenenza a cui troppo spesso rinunciamo per rifugiarci nell’eburnea torre del nostro “non più essere per il prossimo’’. Dostoevskij, che amava far naufragare gli occhi nella Madonna di Raffaello per ritrovare un senso di appartenenza con il destino dell’umanità, faceva dire al principe Mynski ne “I fratelli Karamazov’’ che “la Bellezza salverà il mondo’’. Quella Bellezza va ricercata proprio nella nostra vicinanza al dolore altrui, nell’Amicizia, nella solidarietà.

È solo questo il “Dio’’ che ci salverà.

Ed è dentro di Noi.

 

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