L’emigrazione interna e l’amicizia
C’è un acre sentore di inerzia e polvere di macerie in troppe parti del mondo. E non si tratta solamente di immaginare la devastazione di Paesi martoriati dalla guerra
C’è un acre sentore di inerzia e polvere di macerie in troppe parti del mondo. E non si tratta solamente di immaginare la devastazione di Paesi martoriati dalla guerra
Flavio Deflorian, oggi rettore dell’Università di Trento, ricoprirebbe, ben presto, il ruolo di… rettrice! Questo, quando sarà emanato e pubblicato il nuovo regolamento d’ateneo che adotta il femminile
Dovremmo sempre passare oltre. Liberarci dalla schiavitù della nostra personale e relativa percezione delle cose. Dovremmo pensarci, in quanto esistenti, sempre in uno stare fuori, in un tendere all’Altro, al di là dell’angustia del nostro piccolo, tiepido e chiuso giardinetto.
Ricordo i miei lontani sedici anni, a Roma. Villa Ada, una panchina. Tante panchine.
Le tre età è il titolo che identifica due opere differenti: una del pittore rinascimentale Giorgio da Castelfranco, noto anche con il nome di Giorgione, e l’altra di Caspar David Friedrich, un artista tedesco operante a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, in pieno Romanticismo.
In uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì, La persistenza della memoria, mi sembra si possa ritrovare tutta la relatività della percezione che, generalmente, si ha del Tempo.
La storia dell’umanità è caratterizzata sia dal Padre che uccide il proprio Figlio, sia dal Figlio che si ribella e detronizza il Padre. Se cerchiamo un esempio che riassuma entrambi i casi, si pensi al mito di Edipo rappresentato nella tragedia di Sofocle: Laio che desidera il figlicidio, senza però riuscirvi, sarà ucciso proprio dall’atto parricida del figlio Edipo.
CONDANNATI ALLA MASCHERA Un’inquietante contiguità semantica lega la ‘’per-sona’’ alla maschera. Quel ‘suono’ amplificato dell’attore che fuoriusciva dal (”per”) ligneo camuffarsi il viso sulla scena sancisce da secoli l’impossibilità di
In Italia, ogni due giorni, una donna perde la vita per mano di un uomo. La causa? Un “no’’ di troppo. Il termine femminicidio, per riferirsi all’assassinio di una donna perpetrato da un uomo e motivato dal disprezzo, dall’odio e dalla volontà di possesso, nasce appena trent’anni fa, negli ambienti giuridici statunitensi.
Ne sono convinto: il disprezzo della vita degli innocenti priva, colui che quella vita calpesta, di ogni ragione etica, di ogni legittimazione politica e, aggiungerei, di ogni aspirazione a una dimensione religiosamente superiore.