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Governo Trudeau |
Una rivoluzione liberale senza italiani

IL PUNTO di Vittorio Giordano

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Siamo ancora nella fase (embrionale) degli annunci e delle scelte simboliche, ma Justin Trudeau non ha tradito le attese ed ha già tracciato un solco profondo rispetto al passato recente, tenendo fede a tutte le promesse ‘decantate’ in campagna elettorale. Una vera e propria rivoluzione liberale, che in tanti hanno già ‘glorificato’ con lo slogan avveniristico ‘Trudeaumania 2.0’. Stroncando i pochi ‘non-allineati’, che denunciano, invece, un’overdose di populismo e demagogia. La posta continuerà ad arrivare a domicilio, il Ponte Champlain non sarà a pedaggio, l’esercito non parteciperà più ai bombardamenti in Iraq ed in Afghanistan, il Canada ridurrà le emissioni di gas ad effetto serra, entro il 31 dicembre arriveranno 25 mila rifugiati siriani (di cui 6 mila in Québec). Ma, soprattutto, nel nuovo governo figurano 15 Ministri donne e 15 uomini. “Perché siamo nel 2015”, la giustificazione di Trudeau. Una decisione coraggiosa e significativa. Ma che ci auguriamo non abbia pregiudicato, in alcun modo, la competenza, il talento e l’esperienza. Altrimenti andrebbe rivisitata come forzatura, ‘discriminazione positiva’, parità disuguale o dittatura di genere. Del resto, su 184 deputati liberali eletti in Parlamento, solo 50 sono espressione del ‘gentil sesso’, ovvero il 30%. Forse sarebbe stato più giusto riprodurre la stessa proporzione anche nell’esecutivo. Trovando una sistemazione a ‘pesi massimi’ come Pablo Rodriguez, Anthony Housefather, Andrew Lesley, Bill Blair e lo stesso Nicola Di Iorio, rimasti clamorosamente fuori. Ma non ce la sentiamo di biasimare più di tanto Trudeau, che siamo certi si sia calato nei panni del miglior giocoliere ed equilibrista per trovare la quadratura del cerchio. Alla fine, infatti, ha disegnato un governo ‘diffuso’, composito e multiculturale: sono presenti tutte le Province (con Ontario e Québec sugli scudi), degli autoctoni, 4 sikhs, un ebreo, un musulmano, un geologo, uno scienziato, un astronauta, rifugiati politici e disabili. Oltre ad aver ripescato Stéphane Dion (Esteri) e ‘riesumato’ due Ministri del governo Chrétien, come Goodale (Sicurezza pubblica) e McCallum (Immigrazione). Tutte scelte oculate, ragionate e soppesate. Che paradossalmente, però, hanno escluso proprio gli italo-canadesi, da sempre fervidi e facoltosi sostenitori del Partito Liberale. Tredici, in tutto, i deputati di origine italiana eletti alle ultime elezioni federali: Anthony Rota, Marco Mendicino, Francesco Sorbara, Judy Sgro, Filomena Tassi, Mike Bossio, Nicola Di Iorio, Angelo Iacono, Joe Peschisolido, David Lametti, Francis Scarpaleggia, Bob Bratina e Sherry Romanado. Nessuno di loro ha meritato l’investitura a Ministro. Per carità, una scelta legittima (lo stesso ‘oblio’ è toccato a canadesi di origine cinese, greca e sudamericana). Eppure, lo diciamo sommessamente e senza toni polemici, ci saremmo aspettati un atto di riconoscenza verso una Comunità che, più di altre, ha contribuito, con la sua intraprendenza ed i suoi valori, allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese.

Da Carletto Caccia nel 1981 a Julian Fantino nel 2015, rispettivamente il primo e l’ultimo dei Ministri di origine italiana nella storia del Paese (senza trascurare nomi pesanti come Lisa Frulla e Alfonso Gagliano): si interrompe proprio con Justin Trudeau, paladino della rivoluzione liberale, sul piano ideologico e generazionale, il ‘tributo’ tricolore al governo di Ottawa. Un’assenza inaspettata ed immeritata, che ci amareggia e ci ‘derubrica’ a meri spettatori. Almeno in questa fase iniziale. Confidiamo nel primo rimpasto,
magari a metà legislatura. Anche perché il voto italiano è prezioso e non va mai dato per scontato o preso sottogamba. Così come sarebbe grave se gli italiani, ormai alla 4ª generazione, fossero percepiti come canadesi ‘tout court’ e quindi assimilati. O peggio, se avessero ‘pagato’ il pregiudizio legato agli scandali della Commission Charbonneau.

In ogni caso, il governo gode della nostra stima, ma lo giudicheremo in base ai fatti. Le nomine, al netto dell’orgoglio etnico, lasciano il tempo che trovano. Gli italo-canadesi, lo sappiamo, si rimboccheranno le maniche per dimostrare ancora una volta di meritare un posto nella ‘cabina di ‘pilotaggio’ di un Paese che hanno contribuito a rendere ricco, potente, rispettato e moderno.

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