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Un salutare egoismo europeo

Lo scorso 7 gennaio si è commemorato il decennale  di “Je suis Charlie!”, il grido che aveva affratellato in Occidente milioni di persone dopo il massacro compiuto da terroristi islamici a Parigi contro i redattori della rivista satirica “Charlie Hebdo”. Oso dire che “Je suis Charlie!” è un falso grido, perché il sacrosanto diritto dei francesi alla dissacrazione anche blasfema deriva loro dal culto che tributano al laicismo, ovvero alla laicità dello Stato, il loro Stato, a causa della rivoluzione francese. Ma la storica rivoluzione francese, che ebbe anche aspetti di un fanatismo feroce, non è un valore astorico assoluto da imporre ai paesi extraeuropei, in particolare a quelli islamici, o anche alla stessa Europa.

 

L’arguzia, l’ironia, lo spirito critico e dissacrante, in una parola la libertà d’espressione vanno certamente bene per tutti gli occidentali. Così anche un certo spirito di ironia e persino di comicità nei confronti della religione. Ma non da tutti è condiviso un humour becero, da avvinazzati che vogliono che si rida a tutti i costi, di tutto e di tutti. Perché in realtà, la libertà d’espressione – acclamata dalla folla a Parigi come assoluta – ha i suoi limiti nei tabù stabiliti dal “pensiero dominante” e ben tutelati dagli apparati polizieschi e giudiziari delle varie democrazie. L’Olocausto, per esempio, non ammette eresie. Oso dire che non è l’attuale ammirevole culto ecumenico dei diritti umani che garantirà all’Unione Europea l’elisir di lunga vita di cui vi è bisogno, ma un sentimento egoistico oggi ancora latitante: l’interesse europeo, corredato da un normale sentimento patriottico europeo. Fattore di coesione spirituale indispensabile, quest’ultimo, per un’entità sovranazionale per la quale valga la pena vivere e, in casi estremi, anche morire.

 

La coesione degli europei non avverrà mai se l’Europa, adeguandosi agli inviti del Papa, il quale è asserragliato in un piccolo Stato dalle alte mura, estende a tutti il privilegio di divenire europei. Tra i valori europei non vi può essere l’accettazione di valori antinomici ai propri, tra cui l’inferiorità della donna concepita come un animale domestico.

 

L’Unione Europea è rimasta un’area soprattutto burocratica. Anzi uno “Spazio”. Uno spazio in continua lievitazione e verso il quale affluiscono, legalmente e soprattutto illegalmente, da altri continenti e in particolare dall’Africa, continente ricchissimo di risorse naturali, masse d’individui in cerca di giustizia, lavoro e assistenza. Un simile afflusso di umani, per mare, per cielo e per terra, è una sorta di contrappasso dantesco del colonialismo europeo di ieri.

 

Per porre fine al caos attuale, e per creare un’Europa degna di questo nome, sarebbe importante porre sull’altare dei valori il principio dell’ “interesse nazionale europeo”, atto a colmare il vuoto lasciato dall’abolizione unilaterale dell’ “interesse nazionale” nell’ambito europeo. La stessa logica della parziale implicazione della Nato nel conflitto tra la Russia e l’Ucraina non dovrebbe basarsi su un moralismo di ispirazione evangelica e statunitense, ma su un sano realismo basato sull’interesse degli europei.

 

È autolesionistico abbassare unilateralmente i propri confini, economici e morali, nei confronti del resto del pianeta. È infantile considerare uomini e culture uguali e interscambiabili, abolendo con la bacchetta magica i passati nazionali. Ed è da “imperialisti” e “colonialisti”, anche se nella moderna versione “progressista” e “buonista”, cercare d’imporre al resto dell’umanità, con l’aiuto anche dei droni da bombardamento, la nostra unilaterale religione dei diritti umani, che tra l’altro protegge la blasfemia, la pornografia, un individualismo edonistico sbracato, e nuove forme di matrimonio  che irridono alla natura e alla sua crudele divisione tra uomo e donna sulla base degli apparati riproduttori.

 

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