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Un passato da non dimenticare︱Predisposizione al crimine e diffamazioni

Un passato da non dimenticare

 

Quando m’installai da immigrato a Montréal mi resi conto che noi, italiani del Québec, eravamo considerati in massa degli individui propensi al crimine. Constatai nello stesso tempo, però, che pochissimi nomi italiani figuravano nelle pagine di cronaca nera, zeppe invece di nomi nostrani quebecchesi. Cosa pensare?

 

Un brillante dottorando in criminologia dell’Univ. de Montréal, certo François-Xavier Ribordy, si propose di esaminare seriamente la predisposizione al crimine degli italiani di Montréal, emettendo l’ipotesi che un tale fenomeno fosse da attribuire al loro disadattamento nei confronti di una società più avanzata alla quale non erano culturalmente preparati. Per trovar conferma alla sua tesi circa l’alto indice di criminalità dei membri della Comunità italiana, e per trattarne quindi le cause, lo studioso decise di partire dai dati statistici sui crimini da loro commessi. Era convintissimo di poter trovare con facilità la prova di quella che per lui e per tutti gli altri appariva come una verità lapalissiana: la nostra forte inclinazione al crimine. Ribordy rimase sorpreso quando constatò invece che i dati statistici che man mano raccoglieva gli davano ampiamente torto. Questi primi dati indicavano infatti che non solo che gli italiani non erano “più criminali” degli altri, ma che lo erano molto ma molto di meno. 

 

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Invece di abbandonare la sua ricerca, stante il fatto che questa poggiava su un postulato rivelatosi illusorio: l’“ipercriminalità” degli italiani immigrati, il ricercatore decise di andare fino in fondo completando la sua raccolta dati ed inoltre approfondendo la natura dei crimini commessi dagli italiani trapiantati.

 

La conclusione delle sue approfondite ricerche, che furono sottoposte all’esame critico dei supervisori e del direttore di tesi – e che superarono brillantemente le eventuali obiezioni circa il metodo seguito, i dati raccolti e la conclusione raggiunta – fu che a Montréal la percentuale degli italiani autori di crimini era di quasi dieci volte inferiore a quella della popolazione in generale. Si stenta quasi a crederlo ma è la verità (“François-Xavier Ribordy, “Conflits de culture e criminalité des Italiens à Montréal”, Thèse de doctorat, Criminologie, U.de M., 1970). Il giudizio finale: “Il volume della delinquenza italiana a Montréal è molto basso. Esso rappresenta solo un decimo del tasso previsto (cioè del tasso medio) e conferma i risultati di ricerche analoghe effettuate sulla criminalità degli Italiani in altri paesi”.

 

Ribordy accertò inoltre che una porzione non indifferente di questo numero ridotto d’infrazioni penali imputate agli immigrati italiani era connessa al gioco d’azzardo, all’agitarsi parlando, alla guida spavalda, e ad altri comportamenti culturali dissonanti rispetto alla letargia di una società allora fortemente puritana. Molti italiani erano stati beccati, inoltre, mentre giocavano a carte o a biliardo con amici e conoscenti, per denaro, venendo qualificati come “delinquenti”. Anche il semplice fatto di bere un bicchiere di vino o una birra alla luce del sole poteva provocare l’intervento della polizia. Un certo numero di arresti avveniva perché gli italiani avevano tendenza ad alzare la voce, a gesticolare e ad agitarsi in maniera talvolta eccessiva, oppure a tenersi in un piccolo gruppo sul marciapiede (= assembramento illegale); il che poteva tradursi, nel passato in una rapida condanna per turbativa della quiete pubblica. Oggi, in Italia, occorrerebbe uno studio alla Ribordy sul contributo che gli immigrati, in particolare quelli irregolari, apportano al crimine nella Penisola. Le statistiche indicano che il loro contributo è straordinariamente alto. Ma un tal soggetto è decisamente tabù in Italia, paese di falsi buonisti, carichi però di odi antitaliani; vedi tra i tanti il moralista-giornalista-scrittore Gian Antonio Stella, celebratore indefesso del diverso straniero, ma diffamatore degli italiani e in particolare di noi italiani emigrati.

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