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Trudeau tra cannabis e Monsieur/Madame

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di Vittorio Giordano

Ottawa – Nonostante il deficit di bilancio (il terzo di fila) e il disastroso viaggio in India (con il look giudicato eccentrico ed appariscente dagli stessi indiani), Justin Trudeau tira dritto con il suo programma di governo. E le sue priorità. Incurante degli ultimi sondaggi (su tutti quello Ipsos/Global News), secondo cui i Conservatori avrebbero superato i Liberali nelle intenzioni di voto (38% contro 33%). La luna di miele con gli elettori sembra ormai al capolinea. Un dato sotto gli occhi di tutti, che dovrebbe indurre il Primo Ministro (qualsiasi Primo Ministro) ad una sterzata o, quanto meno, ad un cambio di marcia. Anche perché le elezioni federali non sono poi così lontane: nell’ottobre 2019 la parola tornerà ai canadesi. Che, nonostante la nomèa di persone buone e concilianti, sanno farsi rispettare. Senza guardare in faccia a nessuno. L’impressione, però, è che Trudeau continui a seguire alla lettera la sua agenda. Un’agenda che rispecchia una realtà, la sua, sempre più scollegata da quella del resto del Paese. Lo dimostrano le ultime mosse: Trudeau ha puntato moltissimo sulla legalizzazione della marijuana, un punto-cardine del suo programma elettorale, tanto da annunciarne l’approvazione entro il prossimo 1º luglio (salvo poi ammettere la possibilità di uno slittamento). Il 22 marzo scorso Trudeau ha superato uno scoglio non scontato: l’approvazione in seconda lettura del progetto di legge (in principio) da parte del Senato (44 voti a favore e 29 contrari). Ora il provvedimemento sarà ‘scandagliato’ da 5 Commissioni per poi tornare in aula il 7 giugno, in vista del voto definitivo. Un bel sospiro di sollievo per Trudeau. Ma a quanti davvero interessa? Si tratta di una materia di vitale interesse nazionale? Costituisce una priorità imprescindibile? Cambia la nostra vita quotidiana, al netto dell’effetto-placebo a fine giornata? Aiuterà a vivere meglio i canadesi che sono sempre più indebitati e costretti a pagare le tasse (e qui le pagano tutti!) per finanziare, per esempio, l’assegno di mantenimento dei rifugiati garantendo loro case popolari, indumenti e cure sanitarie? Cosa ne pensano gli stessi dipendenti federali che da anni, ormai, non ricevono la paga nei tempi e nei termini pattuiti per una falla nel sistema di pagamento Phoénix? L’obiettivo è nobile: nazionalizzare un business oggi appannaggio della criminalità. Sempre che questa non abbia già pensato alle contromisure: canne più “forti” ad un prezzo più basso. Un mercato nero parallelo molto competitivo. E sempre che arrivi il‘nulla-osta’ dall’Onu, dopo che negli ultimi decenni il Canada ha firmato ben 3 convenzioni contro la legalizzazione della cannabis. Insomma, il rischio di un buco nell’acqua è molto alto. Ma il provvedimento più controverso (per usare un eufemismo) era arrivato il giorno prima, il 21 marzo: in base ad una circolare, i funzionari di Service Canada, l’agenzia pubblica che assiste i cittadini con servizi come passaporti e sussidio di disoccupazione, non potranno più utilizzare i termini “monsieur” (signore), “madame” (signora), “mère” (madre) e “père” (padre) a beneficio di appellativi neutri e non discriminatori a livello di genere. Incredibile! Siamo arrivati al paradosso che, in ossequio ad una sparuta minoranza (che peraltro non ha mai chiesto nulla), si sacrificano anche le regole linguistiche più logiche e basilari, “violentando” la cultura della stragrande maggioranza. Quale sarà la prossima tappa? Abolire la festa della Mamma e del Papà? Mi dispiace contraddirla, caro Primo Ministro Trudeau: proprio non ci
riesco a sentirmi in colpa per essere maschio e per avere una mamma e un papà.
(V.G.)

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