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Tra Socrate ed Antigone

 

I giuristi parlano spesso di un dissidio insanabile tra la costituzione formale, quella voluta con il sangue e la passione dai nostri Padri Costituenti, e la costituzione materiale, quella del “come funzionano in effetti le cose’’, ossia il risultato dell’agire concreto e fattuale del cittadino nello Stato. Penso immediatamente all’ambiguità dell’uso indifferenziato di legge e di giustizia e a quanto non sia possibile la fungibilità di queste due dimensioni, così essenzialmente diverse. Anche etimologicamente, la “legge’’ è un fatto che “lega’’, che obbliga, sì, ma a prescindere dal suo essere giusta; Aristotele ci ricorda , nella sua Etica, che una legge è giusta solo per caso, non certo ontologicamente. La “giurisprudenza’’, al contrario, mi sembra evochi l’idea di giustizia, di qualcosa che va al di là della positività contingente di chi ha legiferato; la “giustizia’’ deve giocoforza imbeversi dell’ethos di un popolo, dei suoi usi consolidati (quid leges sine moribus?, dicevano i Latini). Potremmo dire, quindi, che la giustizia rappresenta un momento precedente la scritturalità della legge, ritrovandosi in un “prima’’ dell’organizzazione politica, in un tempo arcaico che pone, la giustizia stessa, al di sopra di tutto. È in questa ambiguità conclamata che sta tutto il senso tragico del nostro vivere insieme: noi uomini, lupi per altri uomini. La nostra Storia oscilla tra Socrate, che accetta stoicamente di ingurgitare la cicuta perché così vuole la Legge, rinunciando a una giusta salvezza, e l’Antigone della tragedia di Sofocle che, con hybris irrefrenabile, disdegna l’idea della salvezza della “polis’’ (che solo la legge consentirebbe) e intende, illegalmente!, dare giusta sepoltura al fratello Polinice, sfidando le disposizioni del re di Tebe, Creonte, ed accettando la punizione della morte. Ricordiamo tutti il caso di Carola Rackete, che nel giugno del 2019, al comando di una nave appartenente ad una organizzazione non governativa, la Sea-Watch 3, decise di attraccare, con a bordo 53 migranti accolti presso la costa della Libia, al porto di Lampedusa, malgrado il divieto di una legge italiana che limitava  l’ingresso, il transito e la sosta di navi nel mare territoriale’’, qualora si nutrisse il sospetto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nonostante la concessione italiana dello sbarco a donne in gravidanza, malati e bambini, Carola Rackete fu arrestata e vista come un’Antigone moderna, sprezzante di una legge che non giudicava giusta e pronta a sfidarne le conseguenze per l’inottemperanza. Decisione giusta, quella di attraccare? E al contrario, applicazione di una legge, in quel frangente, giusta, da parte del governo italiano? Difficile, dirimere le cose. Questo dilemma tra legge e giustizia resta irrisolvibile perché radicato nella tensione stessa del vivere civile. Se la legge garantisce ordine e stabilità, la giustizia invoca principî superiori, spesso in conflitto con il diritto positivo. E così oscilliamo tra obbedienza e ribellione, tra Socrate e Antigone, senza una risposta definitiva.

 

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