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“The Economist” denuncia l'”Italian crime” delle Veneziane

Vi darò un esempio di un tipo di Fake News che  la prestigiosa rivista “The Economist” (del nostro John Elkann), sempre pronta a denunciare le fake news dei populisti- sovranisti,  mai denuncerà, perché ne è essa stessa l’autrice.

 

Sotto il titolo “Crimine italiano”, la rivista descrive gli sforzi quotidiani compiuti a Venezia da un gruppo di volontari (60 membri circa) che intervengono per cercare di sventare almeno una parte dei numerosissimi borseggi che vi avvengono. Questi volontari cercano di entrare in azione nel momento in cui i “pickpocket” (borseggiatori), quasi sempre a loro ben noti, stringono da presso la potenziale vittima. Questi volontari, ci dice il giornale, rischiano ogni volta grosso perché i “pickpocket”, che non agiscono da soli, danno in escandescenze e anche aggrediscono chi osi intervenire a difesa del malcapitato, da loro appena derubato o che stavano per derubare.

 

Chi legge l’articolo si domanderà che genere di città sia Venezia, piena di questi ladri. Inutile dire che il lettore sarà convinto che i borseggiatori siano veneziani, o comunque italiani, e si sentirà trasportato dalla fantasia in una città di secoli fa, dove anche fuori del periodo del carnevale tutto poteva accadere.

 

Il fondatore del gruppo dei volontari ha spiegato a “The Economist” che la polizia non interviene, essendo invece occupata a multare il turista che, in violazione di una severa normativa, si azzardi a mangiare al sacco, ossia mangia un panino all’aperto. Il lettore della rivista apprenderà inoltre che un sistema giudiziario indulgente favorisce un tale andazzo. Infatti, i tribunali hanno stabilito che chi intenda intervenire per sventare un borseggio ha l’obbligo di aspettare che il reato venga consumato, ossia che la vittima venga effettivamente derubata. Perché fin lì può trattarsi di un semplice sospetto. Intervenendo, l’improvvido buon samaritano rischia i rigori della magistratura italiana che – è opportuno precisare – è senza pietà per i pericolosi “giustizieri”, “vigilanti” nostalgici della “legge e dell’ordine”.

 

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Dato che la parola inglese “pickpocket” è di genere neutro, l’anonimo articolista si vede infine costretto a precisare che questi “pickpocket” sono in realtà delle donne. Ma nulla è detto sulla nazionalità o origine etno-culturale delle borseggiatrici. Le quali, aggiungiamo noi, imperversano non solo a Venezia, ma nell’intera penisola, isole comprese.

 

L’articolo di “The Economist” ha per effetto di infangare la popolazione femminile veneziana che, il lettore capirà, si dedica in gran numero all'”Italian crime”: il borseggio.

In realtà, questi borseggiatori, anzi borseggiatrici, sono zingare. Zingare provenienti in genere dall’Est Europa, e felicemente installatesi nel paese dei balocchi.

Ma già a dire “zingaro”, termine ormai tabù, come ho fatto io, vi è il rischio del linciaggio morale o addirittura di una denuncia di razzismo e di incitazione all’odio. Occorrerebbe, per prudenza, ricorrere a un termine più accettabile, come Rom, Sinti o non so cos’altro. E forse anche aggiungere, sempre per prudenza, “Sì, però anche noi…”, come fa da anni Gianantonio Stella per il quale gli italiani, nel campo delle nefandezze umane, sono la razza peggiore. E forse sarebbe anche prudente dire che “i veri problemi sono altri”, ricorrendo alla consacrata formula italiana del “vero problema”.

 

Ma falso angelismo, masochismo, autoflagellazione, compiacimento autodenigratorio, godimento della posizione supina sono doti che da italiano sui generis, trapiantato in Canada, io non condivido né con Gianantonio Stella né con gli altri esponenti di un fasullo amore per il mitico Diverso. Mentre sono solidale con i miei simili: quelli che sono bersaglio di borseggi, come lo sono anch’io quando vado in Italia dove resto sempre vigile (ma a Budapest riuscirono a borseggiarmi), e non con gli autori e le autrici del cosiddetto “Italian crime” (copyright: “The Economist”).

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