Folklore è una parola di origine inglese e deriva dal termine “folk”, che significa persone, e dalla parola “lore”, che significa tradizione o conoscenza. Il termine si riferisce ad un patrimonio storico-spirituale popolare, trasmesso oralmente da generazione in generazione di cui non esiste un creatore specifico. Il tipo di folclore in oggetto costituisce la sintesi simbolica di residui sapienziali di una saggezza antica diluita dal tempo o contraffatta da forzati sincretismi religiosi. Detti residui, allontanatisi dal significato originario, sono sfociati in mere superstizioni. Questo implica che la tradizione folcloristica delle ultime società rurali non sono altro che residui di antiche credenze e rituali religiosi che celebravano la semina, la fine del raccolto, i cicli annuali, ecc. Nell’emisfero nord-occidentale, dicembre risulta essere l’ultimo mese dell’anno del calendario e segna l’inizio della stagione invernale. In Italia le tante tradizioni folcloristiche regionali, salvo rare eccezioni, risalgono al pantheon religioso dei popoli italici, i cui residui hanno caratterizzato una susseguente civilizzazione contadina. A livello popolare, dicembre è sempre stato il periodo annuale foriero di piogge, neve e freddo; periodo dell’anno temuto dalle famiglie contadine, dalle persone povere e nell’indigenza. Si diceva, infatti, “a vîn l-invêren, a vîn l-infêren”, cioè: “Viene l’inverno, viene l’inferno”. A livello spirituale il tempo “sembrava finire” e l’anno “tramontare”. La natura partecipava all’evento, manifestando campi ricoperti di neve e alberi brulli, spogli delle loro chiome, solitari e scheletrici, apparivano taciti come sentinelle attonite, in attesa di una “rinascita”. Con i lavori agricoli sospesi a novembre, a dicembre si continuava a lavorare nelle stalle, a riparare gli attrezzi; le donne riprendevano la filatura interrotta durante i mesi in cui avevano aiutato i loro uomini nei lavori campestri. Alla sera, ci si riuniva in tanti nelle stalle riscaldate dal fiato degli animali per stare in compagnia e trascorrere le serate più fredde: si andava a veglia, con parenti, vicini e amici. Nell’intimità, ci si scambiava le esperienze delle stagioni precedenti (semine, raccolte, potature, riflessioni sulle fasi lunari, ecc.) e se ne soppesavano i risultati. Era questa l’atmosfera ideale per tramandare tradizioni, conoscenze, e… antiche credenze religiose, ormai “scadute” in folclore o superstizioni. Era il tempo ideale in cui venivano ripetuti fantastici racconti che l’atmosfera del focolare rendeva misteriosi. Oggi, nel frastuono del modernismo, malgrado il consumismo, a dicembre tutti avvertono “un fine e un principio”, un confronto drammatico tra Freddo e Caldo e, infine, l’apoteosi vittoriosa della Luce sulle Ombre, simbolicamente rappresentata con la rinascita dell’astro solstiziale, simbolo di Natività. Ecco perché la gnosi cristiana definì il Divin Bambino “Salvatore, Sole delle genti”. Per poter carpire e vivere appieno il significato di alcuni principi spirituali e vari simboli folcloristici attinenti, occorre riferirsi all’origine del significato simbolico tradizionale a cui si riferiscono; occorre, cioè, oltrepassare il mero e bigotto sincretismo operato dalla Chiesa, completando e arricchendo la tradizione cristiana con una più universale spiritualità. A tal proposito, cito il caso dell’origine della festa di S. Lucia.
Lucia era l’antica Lux-Lucis, antica divinità della luce, della vista e dei campi. Veniva identificata con Demetra-Cerere, a cui gli antichi offrivano in voto frumento bollito e fiaccole luminose (nelle zone rurali del centro-sud, fino ad un recente passato, a S. Lucia, il 13 dicembre si mangiava devozionalmente frumento bollito). Ed è appunto il 13 dicembre che anticamente si celebrava Demetra-Cerere, accendendo candele in suo onore nelle finestre delle case o con dei falò. Questo per propiziare il nuovo ciclo che stava per iniziare (Natale-Solstizio), il futuro raccolto e il ritorno della Luce. Rituali, questi, che rendevano i celebranti partecipi del trionfo sulle Ombre che avveniva e avverrà il 24 dicembre. Ecco perché gli attributi della dea ctonia, Demetra-Cerere, erano spighe di grano, la luce e gli occhi (gli occhi e la luce per sincretismo diverranno simbolo di S. Lucia). Infatti, ancora oggi S. Lucia, oltre ad essere la protettrice di Siracusa, è considerata la Santa della luce e protettrice della vista. Proprio come Cerere, che il 13 dicembre ritornava dalle ombre sulla terra annunciando il rinnovo della luce, dopo la ricerca di sua figlia Kore negli inferi, così Lucia, il cui nome richiama la “lux” romana, divenne la Santa che annunciava l’eterno solstizio invernale. Secondo la leggenda, S. Lucia fu martirizzata durante la persecuzione di Diocleziano nel 304, con l’estirpazione degli occhi. Come Demetra anticamente, oggi S. Lucia è festeggiata il 13 dicembre. I festeggiamenti di Cerere-Demetra erano il preludio alle saturnali (le nostre novene natalizie), che si concludevano col “Natalis Solis Invicti”, cristianamente fatto coincidere con il Natale di Gesù. L’agiografia ancora ricorda S. Lucia, con attributi risalenti all’antichità classica. La giovane Lucia, una volta convertita e fatto voto di castità, ruppe il fidanzamento con un giovane patrizio romano. Questi sembra avergli detto: “Senza i tuoi occhi non posso vivere”, e lei se li strappò servendoglieli su un vassoio. Oggi, oltre ad essere Patrona della vista e della luce, è anche patrona dei fidanzati, un anteprima di S. Valentino, dell’amore vero, che deve superare prove difficili.