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Reciprocità, colpe collettive, antisemitismo

Lo spaventoso conflitto in atto in Palestina mette in evidenza alcuni principi su cui è utile riflettere. Ad esempio la reciprocità, ossia il voler restituire il male che si è ricevuto. Natanyahu fa bombardare la popolazione palestinese senza fare troppe distinzioni. Vuole restituire, con gli interessi, la morte e il sangue che i terroristi di Hamas hanno arrecato agli israeliani con la loro feroce mattanza. Non mancano pero’ coloro che ritengono – vedi le numerose manifestazioni antisraeliane, ma in definitiva antiebraiche – che gli incursori abbiano voluto restituire il dovuto per le morti, le umiliazioni e i tormenti subiti dai palestinesi nel corso degli anni. Per taluni, vedi Hamas e vedi Natanyahu, la reciprocità è sinonimo di vendetta.

 

Un principio fondamentale nei rapporti umani è il legame collettivo che esiste all’interno di una Nazione, di una comunità, di una collettività, di un gruppo con una storia distinta. Questo legame è particolarmente evidente negli israeliani, cittadini di uno Stato a carattere etnico religioso. Occorre aggiungere che tra gli ebrei è sempre esistito un legame transnazionale, grazie alla Bibbia, che è il loro libro di Storia. I palestinesi, se musulmani, hanno anch’essi un legame transnazionale con gli altri musulmani, ma legame infinitamente piu’ debole di quello degli ebrei, anche perché i musulmani – i musulmani ortodossi – appartengono a nazioni diverse e molti di loro piu’ che amare i palestinesi si direbbe che odino gli ebrei.  E insieme con gli ebrei, molti di loro odiano l’Occidente ex colonialista, che oggi, incurante del futuro, li accoglie in numero sempre crescente nel proprio seno. Il legame collettivo, fonte di un’encomiabile solidarietà tra i membri del gruppo, alimenta pero’ la distorta logica della colpa collettiva; vedi Hamas e vedi Netanyahu.

 

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Gli ebrei della diaspora potevano vivere, nei paesi che li accoglievano, secondo la propria Legge e i propri costumi. Essi infatti rifiutavano l’adesione ai valori storici della terra che li ospitava e rigettavano per la propria comunità gli usi e i costumi locali, da cui pero’  traevano vantaggio. Gli israeliani oggi violano il principio di reciprocità, a casa loro, nel loro Stato esclusivista, a carattere etnico e religioso, che respinge gli stranieri: i non ebrei. Ha scritto l’intellettuale israeliano Yehoshua:  “Nelle nostre relazioni con le nazioni del mondo, noi violiamo un principio di reciprocità”  Se infatti le altre nazioni avessero associato nel passato, quando noi ci rifugiavamo da loro, “una appartenenza religiosa ad una appartenenza nazionale specifica, [il normale processo d’integrazione e quindi d’assimilazione veniva rifiutato dagli ebrei, in perenne attesa di tornare a Gerusalemme]  l’identità nazionale specifica del paese da cui venivamo accolti, noi non avremmo avuto modo di esigere uno status civico e nazionale tra loro, e tutti gli ebrei avrebbero dovuto abbandonare la diaspora e tornare in Israele”. 

 

La mancanza di misura dimostrata da certi dirigenti d’Israele, vedi Netanyahu,  nei confronti dei palestinesi, spesso trattati come se appartenessero ad un’umanità inferiore, rischia di avere una grave ripercussione sull’enorme capitale morale che gli ebrei hanno accumulato in Occidente quali membri di una comunità vittima nei millenni di una nostra inspiegabile avversione nei nostri confronti. Ebbene, la storia degli ebrei, nati per essere sempre e solo vittime, rischia di subire un riesame alla luce di questi tremendi eventi. I quali ci dimostrano se non altro, stando al trattamento fatto subire alla popolazione palestinese, che gli ebrei non sono poi tanto dissimili da noi, non ebrei.  E spero, poiché li assimilo a noi, di non essere accusato di revisionismo o anche di antisemitismo: accuse che fanno ancora paura.   

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