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Pollo arrosto? Meglio
libero che di Stato!

Il Punto di Vittorio Giordano

La rosticceria St-Hubert venduta a CARA

stHubert

Ha destato grande scalpore, nei giorni scorsi, la vendita della Rosticceria quebecchese St-Hubert (che esiste dagli anni ’50) alla società Cara, un gigante ontariano della ristorazione ‘pret-a-porter’ (le catene Swiss Chalet, Kelsey’s e Harvey’s i suoi fiori all’occhiello). Una transazione da 537 milioni di dollari, frutto di un accordo (con reciproca soddisfazione) tra due aziende che hanno deciso (senza nessuna pistola puntata alla tempia) di avviare le trattative e chiudere l’affare. Così come già successo, nel recente passato, ad aziende come Rona, Cirque du Soleil e Fido. È la legge (perfettibile ma imprescindibile) del libero mercato, vivaddio! Apriti cielo: nonostante siano passati decenni da quando l’occidente abbia ripudiato il comunismo a favore del capitalismo ed abbia partorito il cosiddetto “villaggio globale”, i leader dell’opposizione hanno puntato il dito contro il governo liberale (e gli organismi economici statali ‘affiliati’), reo di non essere intervenuto per scongiurare il passaggio di un bene quebecchese in mani straniere. In altre parole: colpevole di non aver optato per la nazionalizzazione di St-Hubert, ovvero acquistandola (o caldeggiandone l’acquisto da parte di un’altra azienda locale) con il ‘nobile’ scopo di preservarne l’identità nazionale. E creare, per la gioia dei contribuenti, il “pollo di stato”. Più nel dettaglio, Francois Legault (leader della CAQ) ha parlato di “declino tranquillo di un’economia di succursali”, mentre Pierre Karl Péladeau, capo del Parti quebecois, ha evocato “l’assenza di una visione politica e di una strategia economica di lungo termine”. L’impressione, però, è che questa volta le opposizioni si siano clamorosamente incartate: speculando sulla compra-vendita di St-Hubert, sono scadute nel populismo più demagogico. Una reazione impulsiva ed ingiustificata che conferma una celebre frase di Pierre Elliott Trudeau: “I quebecchesi sono più emotivi che razionali”. Più semplicemente, a determinare la cessione di St-Hubert è stata l’assenza della ‘réleve’ familiare: le politiche governative, a livello di fisco e burocrazia, c’entrano poco. Per caso la Belle Province è avulsa dal resto del mondo? Per caso in Québec vige un anti-storico ‘protezionismo’ statale che respinge gli ‘assalitori’ (sotto le mentite spoglie di spudorati investitori) provenienti da terre straniere? Per caso St-Hubert rappresenta un asset strategico come la Biblioteca Nazionale, Hydro-Québec, Bombardier, Rado-Canada o SNC-Lavalin, le cui dismissioni rappresenterebbero – quelle sì – un sopruso e un’offesa agli interessi nazionali? E poi, perché tutto questo ‘scetticismo preventivo’ verso una compagnia canadese, come Cara, con base in Ontario? Cos’è questo sciovinisimo anacronistico che mina la modernità – culturale, prima ancora che economica – della Belle Province? Con la mondializzazione dell’economia, le compravendite internazionali sono all’ordine del giorno. Sono i singoli imprenditori che decidono, senza nessuna ingerenza statale. E in questo, il Québec può dare lezioni di mercato globale alla sua stessa classe politica, che non si è clamorosamente accorta – distratta da ideologie ormai desuete o, ancora peggio, da meri calcoli elettoralistici – come dal 2010 ad oggi sono state 258 le aziende estere acquistate da società quebecchesi, contro soltanto 85 compagnie della Belle Province passate in mani straniere. In pochi sanno che qualche settimana fa ‘Alimentation Couche-tard’ ha acquistato 279 posti di ‘rifornimento-depanneurs’ Esso, soprattutto in Ontario: una transazione di 1,69 miliardi; ed ha messo le mani su 229 ‘caffè’ dell’ontariana Tim Hortons. Per caso Legault e Péladeau hanno battuto ciglio? Il problema, dunque, non si pone. Ciò che conta, invece, è che venga garantito il futuro di St-Hubert, con il potenziamento della produzione e dei posti di lavoro in Québec. Cosa che ‘Cara’, azienda già strutturata e affermata in Canada (e non solo), può garantire più di quanto avrebbero potuto fare la ‘Cassa dei depositi e prestiti’ e Investimenti Québec’, oltre al Gruppo MTY di Montréal, che pure hanno sottoposto un’offerta di acquisto a St-Hubert, che l’ha giudicata insufficiente. Il caso ‘Van Houtte’ è emblematico: acquistata da Keurig Green Mountain, ha beneficiato di investimenti pari a 55 milioni, tanto che oggi gli impianti ristutturati di Saint-Michel, quartiere popolare all’est di Montréal, soddisfano tutto il fabbisogno di caffè in chicchi del colosso a stelle e strisce. È il libero mercato, bellezza!

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