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Parlando di tradizioni

Mercoledì 19 marzo si festeggia San Giuseppe e tra un mese sarà Pasqua. Dobbiamo però fare un passo indietro al 7 gennaio. Rientro a casa verso mezzogiorno, prendo un pezzo di legno per il camino e, appena mi giro verso destra, il piede si blocca misteriosamente e mi ritrovo a terra con una doppia frattura scomposta della caviglia. E solito tran tran: arrivo dell’ambulanza, Pronto soccorso, ricovero, operazione, 10 giorni in ospedale, convalescenza a casa e due mesi a letto con il divieto di poggiare il piede destro a terra.

 

Questa brutta avventura mi ha permesso di vedere da vicino il sistema sanitario italiano in crisi, ormai al collasso, e di armarmi di tanta pazienza. Dentro e fuori l’ospedale. Qui, quando un cittadino viene ricoverato, amici e parenti fanno a gara per correre in ospedale. E non necessariamente durante le ore di visita. Appena ricoverato, sotto choc e con mille preoccupazioni, le visite mi hanno leggermente infastidito, mentre le ho apprezzate durante la convalescenza a casa.

 

Non sono mai stato un grande ammiratore della tv, non riuscivo a concentrarmi per leggere e le giornate, con immancabili alti e bassi, erano lunghe. Ho apprezzato la visita di tutti coloro che sono venuti a trovarmi a casa, le conversazioni erano poco impegnative e, non avendo molto da dire, siamo al 17 di gennaio, chiedo ad uno dei miei amici se e quando avrebbe ammazzato il maiale. «Questo pomeriggio», mi risponde. Mi ero dimenticato che il 17 di gennaio è la festa di Sant’Antonio Abate che viene festeggiato in molti paesi con i fuochi all’aperto e, come tradizione vuole, si cominciano a uccidere i maiali. Il mio amico avrà diffuso la voce nel paese, perché tutti coloro che sono venuti a trovarmi una quindicina di giorni dopo mi hanno portato, come regalo, una loro salsiccia. Ho ritrovato finalmente un timido sorriso ed è come se, invece di stare a letto, avessi ammazzato il maiale pure io.

 

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Parlando di tradizioni

Il 19 marzo si festeggia San Giuseppe e in molti paesi del Sud si prepara la tradizionale tavola con 13 pietanze, alla quale partecipano personaggi che rappresentano San Giuseppe, la Madonna, il Bambino Gesù e i 12 Apostoli. La tradizione varia leggermente da paese a paese, ma tutti servono le famose 13 pietanze. Nel corso degli ultimi 50 anni, alcune tradizioni sono scomparse o hanno accusato un calo, ma di recente ho notato che alcune di essere sono tornate a nuova vita. Come la festa la Sant’Antonio Abate che, almeno nel mio paese, da qualche decennio è rinata. In vari punti del paese si accendono i fuochi, il parroco dà la benedizione, si intonano canti tradizionali e si assaggiano piatti regionali. E, per chi rispetta la tradizione, arriva anche il fatidico giorno del maiale. E qui entra in scena Sant’Antonio Abate, quasi sempre rappresentato nelle immagini sacre seguito dal suo fedelissimo porcellino: quest’ultimo, però, non faceva la brutta fine di oggi, ma rappresentava le tentazioni del diavolo che tentava invano questo eremita vissuto nel Terzo secolo dopo Cristo. Ci sono fiabe in cui il Santo si reca all’inferno, aiuta i peccatori  a sfuggire al castigo eterno e, con l’aiuto del maialino, ruba il fuoco ai diavoli per donarlo agli uomini. E non è finita. I monaci dell’Ordine Antoniano curavano quello che comunemente chiamiamo il Fuoco di Sant’Antonio (Herpes Zoster) con un unguento prodotto dal grasso del maiale. Queste tradizioni nel corso degli ultimi anni si vanno riscoprendo e penso che sia una cosa positiva.

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