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Palestinesi e israeliani

Ecco alcuni miei giudizi, spero non avventati, suscitati dai cruenti avvenimenti in atto in Israele e nella Striscia di Gaza.

 

“La guerra è inutile” proclamano moltissimi nel Belpaese, gran campioni di moralismo e amanti della predica. Quanto sta succedendo in Israele prova invece “l’inutilità dei discorsi sull’inutilità delle guerre”.

 

Esce a pezzi dai cruenti attacchi, condotti dal braccio armato di Hamas contro gli israeliani, il buonismo universalista dei “cittadini del mondo”, nemici dei muri, delle frontiere e di tutto ciò che si oppone alla mescolanza e confusione di esseri umani, di passati storici e di identità nazionali.

 

I civili israeliani armati dei vari insediamenti illegali dei territori palestinesi occupati possono apparire ai palestinesi dei veri soldati. Dei soldati da avversare e combattere. Non dico ciò per giustificare gli atroci atti commessi dai terroristi di Hamas, ma semplicemente per spiegare che molti palestinesi, anche tra coloro che sono di natura mite e aliena dalla violenza, si sentiranno vendicati da questi crudeli ma audaci incursori arabi.

 

Gli armati che compiono atti atroci suscitano orrore. Ma suscitano, ahimè, anche un senso di meraviglia e sorpresa per il loro spirito implacabile e le loro capacità strategiche. Dopo tutto essi, pur suscitando orrore, impongono paura e rispetto agli avversari per la loro pericolosità. Questa è la crudele logica dei rapporti di forza imperanti tra i popoli e le nazioni. Nessuno poi mi toglie dalla mente che i tremendi eventi subiti ultimamente dagli israeliani faranno calare di tono l’arrogante disprezzo, espresso attraverso atti di sopraffazione e violenza, da certi fanatici coloni, operanti col mitra a tracolla e con la Bibbia in tasca, a danno dei nativi arabi – parlo di una realtà che e’ impossibile smentire. Gli odi reciproci comunque perdureranno ed anzi si accentueranno.

 

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Nessuno sfugge ad una identità collettiva basata sul passato storico; e sugli insegnamenti del proprio dio, ossia sulla religione. Peccato che gli uni e gli altri, che si fronteggiano in Palestina, abbiano due dii nemici tra loro. La religione vuol dire, purtroppo, anche intolleranza e odio.

 

La religione, i miti, la storia illustrano e celebrano in maniera spesso grandiosa l’eterna condizione di vittime innocenti degli ebrei raminghi per il mondo, in esilio dall’amata Gerusalemme, terra promessa, patria spirituale. Con la nascita dello Stato d’Israele, lo speciale amor patrio degli ebrei, ossia il loro particolare senso di fedeltà rivolto a una terra lontana, sacra, metafisica, virtuale, s’intreccia e confonde con quello ormai diretto a un Paese fisico e reale. L’identità d’Israele, divenuto Paese storico, fisico, politico, da Paese virtuale, religioso, metafisico che era, non coincide pienamente con l’identità tradizionale degli ebrei della diaspora; identità quest’ultima basata in gran parte su un loro eterno ruolo di vittime innocenti ad opera di un continuo, misterioso odio belluino da parte degli altri: i non ebrei. Ma l’egoismo nazionale israeliano ha ormai intaccato il crisma della superiorità morale e della diversità assoluta di questo popolo rispetto agli altri.

 

Gli altri popoli persero in epoche antiche l’innocenza aggredendo i vicini, combattendo contro lo straniero invasore, attuando l’esclusione verso gli estranei, i foresti, gli stranieri (tra cui gli ebrei). Tutto ciò per brama di territorio, di senso d’identità collettiva, di solidarietà di gruppo, d’omogeneità, di fedeltà al Paese di nascita. Oggi sta succedendo lo stesso agli israeliani. Anche questi, infatti, avendo adottato la logica del radicamento in un suolo, sono sottoposti alle dure esigenze dell’egoismo nazionale. E lottano cruentemente contro i nemici, contro gli stranieri (i loro “ebrei”), in nome del territorio e dei suoi sacrosanti confini. In nome dell’esclusione dell’Altro. E hanno perso così anche loro l’innocenza.

 

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