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Natale – Il ritorno della nostalgia

La nostalgia è un canto di sirene. È un’illusione dunque? La sirena esiste? La sirena certamente esiste. Esiste in noi. È una realtà dell’anima. A cosa è diretta la nostalgia? Ai luoghi, al tempo, alla gioventù, a noi stessi quali fummo e mai più saremo… L’uomo desidera ciò che non ha e rimpiange ciò che non ha più. Anche la perdita del luogo natale lo insegna. La lontananza fa nascere dai luoghi e dalle cose una dimensione ideale. La nostalgia, con il mito del paradiso perduto, assume talvolta i contorni di una quasi trascendenza religiosa, soprattutto quando si vive in Paesi dominati dal culto dell’efficienza di mercato e del consumismo, e ormai privi di miti e di sacralità. 

 

Lo sradicamento ci fa scoprire l’anima delle cose. Dalle cose emerge l’anima, dal Paese emerge la patria. E il ritorno non può più farci ricongiungere con una realtà che non è più fisica ma ideale. Forse le cose non hanno di per sé un’anima. Ma la conseguenza è la stessa: siamo noi che diamo senso, anima alle cose. La lontananza e l’impossibilità del ritorno creano una realtà meravigliosa che ci fa soffrire perché è lontana e rimarrà sempre lontana da noi. L’espatrio ci ha portati via dal centro del nostro universo. Il desiderio di ritorno può essere allora visto come il desiderio di ritornare in quel centro. Aspirazione impossibile, anche perché dentro di noi è emersa una tremenda verità: l’universo non ha alcun centro. 

 

La partenza definitiva da un luogo, anzi da un mondo, produce talvolta una sorta di cristallizzazione. Quel mondo, quella gente, quei luoghi rimangono fissati negli occhi e nell’anima di chi è partito, come le cose e le persone rimangono fissate per sempre in una foto ricordo. Gli amici lasciati rimangono in gruppo in questa nostra foto ideale. Nella realtà, la vita li ha allontanati, li ha dispersi, ma noi continuiamo a vederli uniti, come in una foto di gruppo. Il senso di destino mancato non affligge certamente tutti gli emigrati, ma gli esiliati sì. Specialmente quando essi rientrano per una visita in patria e si pongono la domanda: cosa sarebbe successo se fossi rimasto? La mia vita avrebbe forse avuto più senso, si dicono, attribuendo quel sentimento d’inutilità, che accompagna spesso la vecchiaia, alla decisione di essere partiti un lontano giorno rinunciando per sempre all’illusione di vivere nel centro dell’universo. 

 

Lo scrittore italo-americano Mario Puzo ci dice che tutto può divenire vittima del tempo. Con il trascorrere del tempo l’amore spesso finisce. Ma anche le ingiustizie, i disagi, le angustie cadono vittima del tempo, nel senso ch’esso vi mette fine, non solo, ma ne altera il ricordo. E spesso, trascorso tanto tempo, si guarda a quegli anni lontani, in cui non fummo felici, come ad anni di felicità. Puzo usa l’espressione “falsificazione retrospettiva” per descrivere “il più prezioso dei doni umani, quello della falsificazione retrospettiva: ricordare il bello e non il brutto”. 

 

Leggo invece nel diario dello scrittore romeno Mircea Eliade: “Ogni esiliato è un Ulisse, in rotta verso Itaca. Ogni esistenza reale riproduce l’Odissea. Il cammino verso Itaca, verso il Centro. Sapevo tutto questo da molto tempo. Ciò che io scopro improvvisamente, è che si offre la possibilità di divenire un novello Ulisse a qualunque esiliato (proprio perché egli è stato condannato dagli ‘dei’, vale a dire dalle Potenze che decidono dei destini storici, terrestri).” 

 

Venuta la vecchiaia, noi abbiamo nostalgia non della nostra vita di allora quale essa realmente fu, ma di ciò che la nostra vita, in gioventù, avrebbe potuto e dovuto essere. In realtà noi da giovani non fummo felici. Avremmo però dovuto esserlo. E adesso pensiamo, illudendoci, che veramente lo fummo. Sappiamo che se potessimo, per miracolo, tornare indietro lo saremmo. E rimpiangiamo quei tempi… 

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