Quando nell’ultima scena di Bones And All, il bellissimo film di Luca Guadagnino, la protagonista cannibalizza il suo amato che la implora, ormai morente, di divorarne il cuore, il mio pensiero è andato immediatamente alla Vita Nova di Dante e al suo sognare Beatrice, la “donna de la salute’’, intenta a pascersi del cuore del Poeta, offertole dal dio dell’Amore. Amore e Morte, “le sole cose belle che ha il mondo, e le solissime degne di essere desiderate’’, scriveva Leopardi alla sua mancata “beatrice’’, l’irraggiungibile Fanny Targioni Tozzetti. In fondo, attraverso il pasto di Beatrice, nella violenza dell’atto, Dante ottiene di trasfondere le sue virtù e la sua sapienza nello spirito dell’amata. Qui, la Morte è vista come sublime abbrivio ad una “nuova vita amorosa’’ che tutto trascende.
Ma è sempre così? Pensiamo al corpo delle donne straziate dalla “passione amorosa’’ dei loro amanti: anche in questo caso vi sarebbe infusione di sentimenti indescrivibili e nobili, come nel cuore divorato di Dante? In altri termini, la Morte è sempre “bella’’ se amministrata per Amore? Sono domande dolorosamente retoriche. Non passa giorno che sulle pagine dei giornali non compaia, grondante di sangue, il termine femminicidio, una parola che suona quasi neologistica, se si considera che il pensiero moderno avrebbe cominciato ad occuparsene solo dalla fine del ventesimo secolo, distinguendolo dalla fattispecie omnicomprensiva dell’omicidio, enucleando così la categoria della violenza di genere. Personalmente, il fenomeno mi spinge a riflettere sull’idea dell’Amore, sulla sua essenza e sulla possibilità di comprendere l’atto di chi giunga, per “amore’’, a deliberare sulla vita di chi si è creduto di amare.
Che l’Amore si bilicasse tra Ragione e Follia era già noto al pensiero filosofico di Platone che non poteva trascurare questo sentimento, benché esso attentasse alla sua ordinata cosmologia: Platone sapeva che di quella “follia d’amore’’ l’umanità ha bisogno. Ma mi chiedo se, in questa “divina mania’’ si sia sempre davvero in due? Più di due millenni dopo, Freud ha pensato che in fondo noi ci innamoriamo di qualcuno che fa già parte del nostro inconscio. Come dire che ci innamoreremmo sempre di noi stessi. Sarebbe questo, l’Amore? L’Amore freudiano sarebbe un meccanismo al servizio del mantenimento della specie, che si risolve in qualcosa di sostanzialmente egoistico. Una visione senza dubbio deprimente e che fa strame di tanta letteratura, di tante opere dello Spirito che hanno descritto l’Amore come quel sentimento “ch’a nullo amato amar perdona’’. E allora chi uccide per (sic!) amore giustizia quel che non trova più nel suo inconscio; massacra chi gli ha fatto scoprire che non si può amare il simulacro di noi stessi immaginato nell’Altro da Sé. Ricordiamo Sant’Agostino quando scrive nelle Confessioni che “il miglior tuo servo è colui che non tanto cerca di udire da te ciò che egli vorrebbe, quanto di volere ciò che ha sentito da te”. Chi ama davvero, lascia libero l’Altro di essere.