In “Se puoi sognarlo, puoi farlo”, biografia di Nick Di Tempora scritta da Simona Grillo, apprendiamo che la famiglia Di Tempora si ambienta senza traumi nella nuova patria, a Montréal. La presenza di tanti paesani attutisce lo choc culturale. In questo nuovo mondo ciò che più colpisce i nuovi arrivati è l’abbondanza: “C’era spazio, cibo, cose per tutti”.
Delizioso è l’episodio del quattordicenne Nicola (che di lì a non molto diventerà Nick), al quale viene offerta dalla signora Padulo, nel corso di una cena di benvenuto offerta ai Di Tempora, una Coca-Cola, che l’adolescente tracanna in 10 secondi. Il ragazzo è deliziato da questa bevanda sconosciuta, divenuta istantaneamente per lui un simbolo di lusso e di abbondanza e uno spartiacque dei due mondi: in Italia in quei tempi, soprattutto in Molise, c’erano soprattutto disoccupazione e fame.
La testimonianza di Nicola Di Tempora è molto significativa circa le ragioni della scelta della lingua, se l’inglese oppure l’inglese, in cui avveniva il corso di studi verso cui il figlio dell’immigrato si dirigeva. Ne emerge la responsabilità dei quebecchesi stessi in relazione alla scelta, spesso per la scuola inglese, fatta da molti immigrati per i loro figli. Merita citare, parola per parola, questi passi del racconto di Nick in merito alla “questione lingua”:
“La scuola più vicina a casa nostra era quella francese. Ma ci hanno rifiutato. Sarebbe stato un freno all’apprendimento degli altri. Non sapevamo il francese e imparare la lingua in classe avrebbe richiesto, secondo loro, troppo tempo”.
Quindi Nick esprime un giudizio amaro: “In America, il momento stesso in cui arrivi ti senti parte della terra in cui vivi. In Québec, no. Sei sempre altro da loro, anche dopo averci vissuto per anni”.
Anni dopo, in un discorso che Nick Di Tempora, divenuto un imprenditore di gran successo negli USA, terrà a Montréal nel corso di una serata in suo onore, lo udirò felicitarsi con ironia e sarcasmo per quel lontano rifiuto scolastico subito da lui, e per il clima ostile che la maggioranza della popolazione riservava allora agli immigrati italiani; perché ciò fu la causa della sua fortunata decisione di andare a vivere e a lavorare negli USA. Dove le sue capacità imprenditoriali ed umane si estrinsecheranno in maniera ammirevole, grazie anche al sistema americano degli affari e nella vita: aperto, pragmatico, dinamico.
La biografa annota molto a proposito: “Nicola non lo sapeva ancora, ma quel rifiuto per lui era stato un regalo prezioso”. Nella biografia di Nicola di Tempora, il problema della scelta degli studi per i figli dei nuovi arrivati, se in lingua francese o invece in lingua inglese, in questa provincia canadese francofona, ha il realismo che hanno le cose direttamente vissute. Io ho udito la stessa affliggente storia innumerevoli volte: la domanda d’iscrizione alle scuole del sistema educativo cattolico francese erano spesso respinte perché provenienti da italiani appena arrivati. E quindi questi giovani figli d’immigrati intraprendevano gli studi in una scuola del sistema educativo inglese, il quale invece apriva loro le porte. Ebbene, nelle pagine e pagine consacrate in Québec al problema della scelta della lingua d’insegnamento, se l’inglese o il francese, da parte degli immigrati, non una sola volta ho trovato l’ammissione di questo monumentale errore commesso dai “francesi” (come noi nel passato chiamavamo i franco-quebecchesi).
I già “francesi”, e oggi quebecchesi o franco-quebecchesi, non sono disposti ad ammettere altri torti se non quello di essere stati nei secoli “troppo buoni”. Ciò fa parte di un particolare tratto della loro indole, incentrato sul vittimismo; tratto che appare evidente a chiunque li conosca in profondità.