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L’opinione di Claudio Antonelli: i talk show italiani

I problemi dell’umanità sono tanti: inquinamento, riscaldamento, siccità, aumento del livello del mare, illegalità diffusa, terrorismo, migrazioni senza regole, pandemia… E oggi vi è anche la guerra in Ucraina.

In Italia, su questi e altri problemi è un continuo parlare, denunciare, proporre soluzioni. Si discute all’infinito su tutto. Ma non si discute mai seriamente delle mafie, che controllano fette del territorio nazionale e continuano a espandersi. Lo stesso presidente della Repubblica ha avuto un fratello ucciso dalla mafia. E neppure si parla dell’assurdità di una burocrazia da mentecatti, palla al piede di un intero popolo. Temi, questi, che non sembrano scomporre gli italiani, convinti di vivere nel migliore dei mondi. Ai cui confini premono i disperati della terra, mentre in realtà dall’Italia – paese ingessato dove tutto è complicato, dove la corruzione è diffusa e il debito pubblico altissimo – continuano ad andare via, ogni anno, migliaia di laureati, di tecnici, di ricercatori e di altra gente intraprendente e laboriosa.

In queste discussioni italiane, quasi sempre urlate, non si giunge mai a un accordo, perché pragmatismo e concretezza difettano a questi appassionati di teoriche soluzioni a tavolino. “Portare avanti il discorso” è la ridicola frase che giustifica il “parlare per parlare”, dove cio’ che conta non è l’apportare all’interlocutore la propria esperienza e le proprie idee sul problema discusso, ma l’essere protagonisti, il mostrarsi superiori all’altro, il trionfare su chi ci sta di fronte. E dove la discussione spesso degenera in una lotta civile ideologica, perché gli italiani, intrisi di spirito di parte, sono ingordi di lotte intestine e di scontri civili ossia tra fratelli.

Ma quali sono i meccanismi mentali cui fa appello questo “portare avanti il discorso”? Uno di questi meccanismi è l'”allargamento” del tema discusso. Il vostro interlocutore, digiuno di una logica di stampo nord-americano basata su realismo e pragmatismo e concretezza, amplia, allarga, dilata il suo ragionamento per spaziare su altri problemi, fare raffronti storici (Putin è come Hitler; no è come Stalin…) e rifugiarsi nell’astrazione, nella filosofia, nel relativismo e nel moralismo spicciolo. Il che non è altro che un abbandonare il terreno del problema su cui si sta discutendo per innalzarsi nella stratosfera. Le discussioni all’italiana pullulano di “pali in frasca”, di moralismi autopromozionali, e di soluzioni teoriche globali: “Le guerre vanno abolite!”

“Non è chiudendo le frontiere che risolveremo il problema del terrorismo…” Allora io dico: non è attraverso le prigioni che verrà risolto il problema del crimine. E aggiungo: non è certo con le medicine che i dottori risolveranno il problema della morte. Ma ospedali e prigioni sono necessari per contenere, ridurre, alleviare i detti problemi. E ugualmente sono necessarie le porte di casa, anche se vi saranno sempre degli abili scassinatori capaci di aprirle.

“Anche noi nel passato…”: mossi dal desiderio di beatificare il mitico “Diverso” e dal masochistico piacere di autoflagellarsi come popolo, gli italiani amano denunciare ciò che di brutto gl’italiani compirono nel passato nei confronti degli altri. Attraverso questi paragoni, diretti a infangare il proprio Paese, l’italiota crede d’innalzarsi e nobilitarsi. In realtà dimostra di essere italianissimo, per questa sua mania autodenigratoria fonte per lui di godimento degenere.

Per aver la meglio sull’avversario, il polemista italiano – anche se ateo – ricorrerà alla frase passe-partout “Siamo tutti figli di Dio…” Io gli obietterei: ma di quale dio? Dopotutto viviamo in un’epoca di violenze e massacri, condotti talvolta anche in nome di dio o di un suo profeta. Vi è addirittura un intero Stato, Israele, edificato in virtu’ del dettato divino; di un dio che pero’ non è riconosciuto, purtroppo, dai musulmani.

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