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Logica calcistica e populismo

Che idee mi ispira il tifo ai Mondiali del Qatar? Che dovremmo diffidare della logica binaria da partita di calcio, la quale c’induce a un precipitoso sdegno moralistico e al disprezzo e persino all’odio contro gli “altri”, ad esempio i “populisti”. Questi, dopo tutto, appartengono alle aree più diverse, ma nei loro confronti si trova comodo fare di tutt’erba un fascio. Le nostre élite li considerano, con animo sprezzante, un tutto indifferenziato. Sono la squadra avversaria, insomma. 

 

Per i padroni del discorso e per i loro zelanti portavoce, “populismo” è un concetto valigia, anzi un concetto baule. Io oso dire che voi potete essere “populisti”, ma ignari di esserlo, perché – solo per dare questo esempio basato sull’opposizione che taluni di noi provano per l’immigrazionismo che va per la maggiore in Italia tra le nostre élite, orgogliosamente di sinistra – voi siete  contro gli abusi, così evidenti, commessi da una buona percentuale di Rom e di immigrati irregolari dediti al crimine e colpiti da teoriche sanzioni che non producono alcun effetto. Ma nello stesso tempo, l’individuo che vi sta di fronte, l’uomo della strada, il povero cristo malvestito, lo sconosciuto, qualunque sia la sua appartenenza etnica, sociale, religiosa, è per voi un essere umano a pieno titolo, nei confronti del quale voi non provate alcun sentimento di superiorità, proprio perché non lo conoscete e quindi, nel vostro subcosciente, vi è l’idea che questi potrebbe essere addirittura migliore di voi.  

 

Noi vediamo invece che gli amanti dell’umanità – stuoli in Italia – e dello straniero, del mitico diverso, considerato da loro il depositario di ogni virtù, provano ostilità e diffidenza verso automobilisti, pedoni, o interlocutori vari con cui si trovino ad interagire, anche brevemente e di sfuggita. Lo sconosciuto, il quidam, il “diverso”, il loro vicino di casa, l’automobilista “rivale”, l’utente che devono servire allo sportello, non suscitano in loro alcun sentimento di gentilezza e magnanimità. L’egoismo, e non la gentilezza d’animo, è il fiore all’occhiello che i tanti teorici amanti del Diverso esibiscono con disinvoltura nell’ex Belpaese.  

 

Dovremmo stare attenti alle etichette che appiccichiamo sugli altri. Etichette – noi non ce ne accorgiamo – che ci sono fornite preconfezionate dai padroni del discorso. Non dimentichiamoci che nelle “democrazie popolari”, che ieri erano molto “popolari” nei salotti buoni degli intellettuali di casa nostra, si bollavano col ferro incandescente i ” nemici del popolo “. Oggi i nostri “populisti”, benché essi incarnino quel “popolo” che ogni democrazia pone al centro del sistema, subiscono sdegnate condanne, fortunatamente solo verbali e pallida ombra di quelle che ieri i “tribunali del popolo”  emettevano contro i “nemici del popolo”.  

 

Inventariando alla carlona i torti e i demeriti dei populisti, giudicati alla guisa di un mucchio di letame, si sorvola sul loro denominatore comune che, a detta della politologa Chantal Delsol e di pochi altri non allineati al pensiero dominante, è la difesa del “radicamento”, ossia delle radici, dell’appartenenza.  Sentimento normale e legittimo. Populisti rischiano quindi di essere considerati anche gli indigeni dell’Amazzonia e gli aborigeni del Canada, i quali cercano semplicemente di difendere la propria identità e dignità di popolo “espropriato” e messo ai margini.  

 

Il radicamento che i populisti difendono è il radicamento territoriale, nazionale, culturale, sentimentale, contro l’omogeneizzazione promossa dal globalismo, mondialismo, cosmopolitismo, internazionalismo finanziario, fautore dell’immigrazionismo a tutto campo così caro alle nostre élite. Chantal Delsol  lo ha detto: “Le populisme est attaché à des enracinements que détestent les élites”.

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