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Lo zibaldone di Vincenzo Thoma. Svaluteiscion! Escaleiscion! Orrait!

Una delle parole più in voga in queste settimane sui media sociali è “escalation”. Nessuna meraviglia, beninteso: la nostra bella lingua si piega, ancora una volta, al fascino di utilizzare un termine inglese per evocare l’idea di un fenomeno che si intensifica, che si aggrava e può diventare ancora più pericoloso.

Ovviamente, facciamo riferimento al conflitto russo-ucraino. E che volete che sia, se la pronuncia di “escalation’’ da parte del politico o del giornalista di turno suona un po’ “alla Celentano’’ o “alla Alberto Sordi’’? Che importa, se gli Italiani avanti con l’età, quelli sopravvissuti in un Belpaese rurale ormai in evaporazione e abbandonato a sé stesso, non capiscono che cosa possa significare, ora, questo misterioso “escaleiscion’’? Lo sentiamo ormai ogni giorno, impastato e biascicato, appena percepibile, come di parola talmente nostra, talmente (sic!) italiana da non richiedere un’articolazione accorta, e magari anche il sostegno una provvidenziale traduzione per quegli “asini’’ digiuni di “inglesorum’’! Evvai con gli “escaleiscion’’, intrufolatisi ora tra i “locchedaun’’ e gli “smarteuorching’’! L’importante, per la classe pseudo-intellettuale di questo Paese, è dare l’impressione di essere… persone “di mondo’’, che conoscono il mondo, che parlano come “si parla nel mondo che conta’’.

Donchisciottescamente, mi son preso la briga di andare a verificare come reagiscono le altre principali lingue romanze davanti al bisogno di far riferimento ai pruriti dei Grandi della Storia. Ebbene, mentre lo spagnolo usa “escalación’’, il francese ci offre un’elegante “escalade’’, seguito dal portoghese “escalada’’ e dal rumeno “escaladarea’’. Per sfizio, sono andato a controllare la traduzione russa del termine e (ma guarda un po’!) ho trovato un fiero e bellicoso “eskaladzia’’. E persino in tedesco abbiamo “eskalation’’. D’altronde, la parola rinvia alla “scala’’ dei Latini che ha generato tante derivazioni terminologiche in tante altre lingue.

E allora, possibile? Possibile che una lingua così nobile e bella come quella nostra “del sì’’ non perda mai l’occasione per ossequiare quella ormai snaturata e bistrattata di uno Shakespeare, probabilmente anch’egli in agitazione tra i marmi della Chiesa della Santissima Trinità di Stratford-upon-Avon? Quasi mi sembra di vederlo, il redattore della Treccani, mentre con una smorfia e una mal trattenuta lacrima è costretto a registrare “escalation’’ nel suo vocabolario. È la sindrome dell’ “Americano a Roma’’ che ci perseguita!

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