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Lo zibaldone di Vincenzo Thoma. “Come potevano noi cantare”?

Difficile di questi tempi, almeno per quanto mi riguarda, immaginarsi impegnati nella creazione artistica. L’idea di starmene con un plettro tra le dita ad incastrare melodie ed accordi, come anche quella di riversare su un foglio bianco parole che abbiano una qualche funzione poetica, mi suona inopportuna, se non sacrilega.

Davanti a questa nuova tragica e assurda rappresentazione della condizione umana, mi chiedo che senso abbia la Storia. Possibile? Possibile che dopo aver esplorato spazi interstellari ed esserci resi conto della nostra infinitesimalità, si osi ancora dividere l’umanità tra perdenti e vincitori? Ma soprat- tutto: dov’è Dio? Questo è forse l’interrogativo più doloroso che sicuramente angustia molti. Immagino atei ed agnostici fare compagnia al pensiero di Simone de Beauvoir quando affermava che un mondo senza trascendenze e creatori sembra decisamente meno assurdo di quello retto da un Dio che avrebbe permesso le ‘’shoah’’ di ogni tempo. Davanti alla morte violenta di un bimbo innocente, come non affrontare il dilemma di un Dio che permette il Male?

Ora, certa riflessione teologica vorrebbe confortarci invitandoci a pensare che in ogni bambino dilaniato dalle bombe si debba vedere (certo, con un titanico sforzo dello spirito!) un Dio-agnello sacrificale che rinnova la sua sofferenza nelle membra morenti dell’innocente. In altre parole, per non far evaporare Dio dalla nostra coscienza, dovremmo spingerci a immaginarne non più l’onnipotenza, bensì la volontà di annichilirsi, di ritrarsi, d’incarnarsi in ogni essere fragile e inerme; e questo al fine di dare un senso al dono più alto che Egli abbia offerto all’umanità: il libero arbitrio. E noi? Noi saremmo qui, su questa Terra, capaci di Bene, come di Male, sotto lo sguardo pietoso di un Dio che, in fondo, esiste, sì, ma si fa Nulla per noi, si fa trucidare nell’innocenza di migliaia di bambini e donne che si trovano dalla parte sbagliata della Storia. Un Dio che soffre come un ‘’sisifo’’ qualunque davanti all’ineluttabilità del Male di cui è responsabile la libera scelta dell’Uomo.

Ebbene, tra un Dio onnipotente, ma che rifiuta d’intervenire, e un Dio che parrebbe lasciarci fare, divenendo agnello sacrificale ogni giorno, oggi avverto forte la necessità di un ‘’silenzio’’, di una riflessione sul significato della nostra presenza sulla Terra. Ci sono momenti in cui, come diceva Quasimodo, rifacendosi al salmo 136 della Bibbia, le cetre vanno appese ai salici. Nel silenzio più assordante.

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