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Lo Zibaldone di Vincenzo Thoma

Una quercia e un giunco in inverno. Due destini contrapposti davanti all’algido adagiarsi su di loro della neve. La quercia tradirà il mito della sua robustezza, spezzandosi nei rami sotto il peso della candida coltre. Il giunco, al contrario, accogliendo quella con la deferenza che si deve a un incedere subdolo, sì, ma anche leggiadro, si piegherà fino ad accompagnare la discesa della neve al suolo. Poi, liberatosi del giogo della Bianca Signora, esso si risolleverà, fiero superstite tra lo scempio dei rami della quercia.

È l’immagine di cui si serve Kanō Jigorō, un esile educatore giapponese, vissuto a cavallo dei secoli diciannovesimo e ventesimo e a cui si deve l’invenzione di un’arte marziale conosciuta in tutto il mondo, il “judo”. Questa tecnica di combattimento fa del ‘’ju’’ – un ideogramma nella lingua del Paese del Sol Levante che significa “cedevolezza”-, l’approccio migliore per la difesa e il contrattacco: accogliere il nemico, non respingerlo, ma sfruttarne la forza per capovolgere l’esito dello scontro ed avere la meglio. Proprio come il giunco, che si libera elegantemente della neve, prima accogliendola e poi facendola rovinare a terra.

L’idea della cedevolezza si ritrova nella teoria dell’antifragilità di Nassim Nicholas Taleb, un saggista e matematico libanese che vive ormai negli Stati Uniti e che ci invita a non temere la casualità e l’incertezza del divenire e a non perdersi in un eccesso di razionalizzazione di ciò che ci accade. Fare, come la quercia, prova di solidità nell’affrontare un trauma, resistendo ad esso con tutta la forza non serve davvero ad interiorizzarlo, a comprenderlo. Bisognerebbe, invece, fare come il giunco: accettare lo shock, normalizzarlo e farlo diventare parte del nostro essere.

E allora, per esempio, la longevità, nella teoria dell’antifragilità di Taleb, non è il risultato di un’ipermedicalizzazione del nostro benessere, bensì di una capacità del nostro organismo di assimilare ciò che ci aggredisce e renderlo innocuo. Ancora secondo l’antifragilità, iperrazionalizzare produce analisi meno accurate di chi, anche con meno dati, è pronto ad accettare l’imprevisto. Mitridate si difendeva dal possibile avvelenamento dei suoi cospiratori assumendo quotidianamente piccolissime dosi di pozioni letali fino a raggiungere l’immunità. Nietzsche scriveva in un celebre aforisma che ciò che non ci uccide ci fortifica.

A volte, meno è meglio.

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