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L’Italia vista da vicino di Teddy Colantonio

Guardavo il calendario con un certo ottimismo. Secondo gli esperti, il 31 marzo, dati alla mano, avremmo dovuto ritrovare una certa normalità. Il Covid non era stato sconfitto ma, grazie soprattutto alla campagna di vaccinazione, era sotto controllo ed i contagi scendevano ogni giorno. Si ricominciavano a fare piccoli progetti e si faceva un pensierino alla prossima estate, a qualche gita o vacanza.

Ed invece…Ed invece un giovedì mattina di due settimane fa accendi il televisore e non credi a tuoi occhi: la Russia, contro ogni previsione, ha invaso l’Ucraina ed è tornata la guerra, per il momento solo per i poveri ucraini.

Nessuno credeva ad un’invasione da parte degli ex sovietici. Questa volta ha avuto ragione il controspionaggio americano, che a più riprese aveva invitato gli alleati ad aprire gli occhi. Ha sempre sostenuto che i carrarmati sovietici avrebbero oltrepassato il confine con l’Ucraina.

È difficile sapere quali sono le vere intenzioni di Putin, ma molti ritengono che abbia fatto male i conti. Forse riteneva che in Ucraina avrebbe trovato poca resistenza e sarebbe stato accolto da folle festanti ed invece il popolo ucraino si è mobilitato ed oggi combatte contro l’invasore. Finora, soprattutto donne e bambini scappano dai bombardamenti e si rifugiano nei paesi vicini. I profughi sono già più di un milione e mezzo e stanno arrivando anche in Italia. I Questori si sono rivolti ai sindaci, invitandoli ad accogliere gli ucraini che fuggono dalla guerra e dalla morte. Anche nel mio paese molti hanno dato la loro disponibilità per accogliere le famiglie che sono state costrette a lasciare le proprie case e il loro paese.

Perché non tornano al loro paese

È successo prima dello scoppio della guerra. Un mio amico che passava dalle mie parti mi invita a prendere un caffè in un bar a metà strada tra il suo ed il mio paese e così dopo una mezzoretta ci incontriamo. Era accompagnato da un ex bancario che per una decina di anni aveva lavorato a Casacalenda (CB). Beviamo qualcosa, parliamo del più e del meno, ma appena sentono la parola Canada cominciano a farmi domande su questo paese. Il bancario conosceva i Casacalendesi di Montréal meglio di me e comincia a fare i nomi. Li conosceva perché quando tornavano al paese andavano in banca per cambiare i dollari o per trasferire a Montreal i soldi dell’eredità o della vendita della casa paterna o di qualche terreno.

Ad un certo punto il mio amico assume un tono solenne e mi chiede, facendomi andare di traverso il caffè, perché i numerosi italiani emigrati in Canada, una volta in pensione, non ritornano al loro paese natio. Sono sorpreso, ma tento di dargli una risposta. E sulla mia risposta non vorrei aprire un dibattito, ma mi interessa la vostra opinione. A questa domanda non è facile rispondere, ma ecco la mia opinione. Una volta partiti, se si rimane nel nuovo paese di adozione per molti anni, poi è quasi impossibile lasciarlo. Ci sono, in primis, motivi familiari e di lavoro. Ed anche se si pensa al proprio paese o regione quasi ogni giorno, molti ci tornano per le vacanze, pochi ci fanno un pensierino per tornarci per sempre, pochissimi ci ritornano e quasi nessuno ci resta definitivamente.

Inoltre non tutti sono partiti volentieri e nutrono verso la madrepatria un certo rancore. Senza contare che, negli ultimi anni, in Canada sono presenti sia la RAI che Mediaset e non penso che la maggior parte dei loro programmi facciano un buon lavoro per correggere l’immagine dell’Italia all’estero. Anzi, penso che rafforzino i pregiudizi.

Quando vivevo a Montréal e tornavo al mio paese per le vacanze, un mio compagno di scuola che era emigrato in Germania, dopo aver ascoltato le mie “meditazioni’’ sulla vita di chi va all’estero soprattutto per motivi di lavoro, ad un certo punto si fermava, mi guardava negli occhi e scuotendo la testa mi diceva: “È facile partire dall’Italia, ma poi è quasi impossibile tornarci’’.

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