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L’ineffabilità del moderno

La modernità viene tradizionalmente riferita all’idea di progresso, di libertà, di fede nelle possibilità della Ragione umana. Ma la Storia ci insegna che l’umanità non ha fatto altro che sisifeamente saliscendere lungo la tortuosità di un pendio infinito, trasportando verso l’alto il “macigno dell’esistenza’’ con la forza di una cieca fiducia nelle grandi narrazioni ideologiche e negli strumenti della Tecnica, per poi vederlo precipitare sotto il peso della lusinga dell’individualismo, del potere per il potere, in un tragico homo homini lupus cui il diritto e lo Stato hanno giovato ben poco. La Modernità, aveva ragione Foucault, è, più che un periodo storico, un atteggiamento bilicante del nostro pensiero, così protervo nel voler creare verità risolutrici, chiavi di letture univoche al problema dell’Essere Umani ma che, inesorabilmente, devono fare i conti con la perversa logica dell’autoannientamento. Così, quel “Liberté, Fraternité, Égalité’’, il mantra della Rivoluzione Francese (con cui si fanno storicamente iniziare i fasti di un “propizio’’ lungo Ottocento), si disintegra, per fare un esempio, nella ferocia in Algeria perpetrata dagli eredi di Voltaire; oppure, la Felicità perseguita negli ideali di Jefferson evapora nella tragedia del Vietnam e nei volti sfigurati dei bambini esposti al defoliante all’arancio dei gringos portatori di (sic!) pace e democrazia; per non dire delle donne e le minoranze etniche, formalmente emancipate ed affrancate, ma ancora oggi lungi dal poter godere di pari opportunità.

 

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Ma allora dov’è la Modernità? Che cos’è la Modernità? A dire il vero, l’attualità sembra averci confinato, semmai, nel secolo breve che aveva visto gli obbrobrî delle Grandi Guerre (1914 – 1991), braccati in una tetra… “brevità’’ che si estende all’oggi, nel 2024, mentre l’Uomo è sempre quello della fionda tra le dita e uno strumento di morte da azionare. Che ne è di quella svolta assiale dell’umanità, di cui parlava Karl Jaspers, alludendo al liberarsi dal mito e da una visione ingenua e romantica di civiltà lontane tra loro (in India, in Cina, in Grecia, nel Medio Oriente) quasi contemporaneamente e che diedero vita al pensiero razionale dell’umanità?

 

La Modernità, davvero, non ci sembra che un incessante oscillare tra sogno e delusione, tra le promesse di emancipazione e le ombre del fallimento. Lungi dall’essere un traguardo raggiunto, essa ci lascia con domande senza risposte definitive: dov’è la nostra libertà se resta schiava del potere e del profitto? Cos’è la fratellanza se non riesce a spezzare i muri delle disuguaglianze? Forse, la modernità è un cantiere aperto, un’idea mai pienamente realizzata, che ancora oggi ci sfida a riflettere su ciò che vogliamo essere.

 

Il rischio, oggi come ieri, è che nel tentativo di risolvere i dilemmi dell’esistenza, l’Uomo finisca per perdersi nel labirinto delle sue stesse creazioni, prigioniero delle stesse ideologie e tecnologie che dovevano liberarlo.

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