Molisani all’estero
Nel libro di Norberto Lombardi “Altrove – Intellettuali molisani della diaspora” (Cosmo Iannone Editore), c’imbattiamo in personaggi della diaspora a noi ben noti e in altri, invece, poco conosciuti.
La notorietà raggiunta in Argentina dai Di Tella originari di Capracotta – Torquato il capostipite, e i figli Torcuato e Guido – ha suscitato in me sorpresa e meraviglia. Trovandomi in Argentina, ho constatato di persona la grande risonanza che lì ha il cognome “Di Tella”, in particolare a Buenos Aires dove esiste una prestigiosa università privata creata da Torcuato [con la “c”] e da Guido Di Tella, figli di Torquato [con la “q”] il capostipite, fondatore di un gigantesco complesso industriale.
Guido, personaggio dai tanti talenti: industriale, economista, professore universitario, è stato anche ministro degli esteri: dal 1991 al 1999 nel governo argentino di Menem. Suo fratello Torcuato, politologo e professore universitario, è stato segretario Nazionale della Cultura, e anche ambasciatore a Roma (fino al 2015).
Norberto Lombardi ci presenta nel suo libro un altro personaggio italo-argentino: Mario Santillo. Di madre argentina e di padre nativo di Toro, Santillo nasce a Munro (Buenos Aires). La vocazione religiosa si manifesta in lui ben presto. Compie un ricco percorso di studi. Il suo primo viaggio a Toro lo riempie di emozioni. È ordinato sacerdote nel 1985. Compie a Roma, dal 1987 al 1990, studi di sociologia. Persona dalla profonda coscienza sociale, ricopre importanti incarichi a carattere religioso, sociale e culturale. Aderisce al progetto Metropolis sulle migrazioni internazionali. Opera in un centro studi, il CEMLA, dedicato alla difesa dei diritti umani in relazione al trattamento dei migranti, e che raccoglie dati preziosi sull’arrivo degli immigranti in Argentina, grazie ai registri di bordo delle navi approdate a Buenos Aires. Ciò ha permesso un’importante ricerca sui molisani dell’Argentina. Padre Santillo si sentiva molto legato al Molise.
Nel libro di Lombardi vi sono alcuni intellettuali dal percorso di vita dai tanti cambiamenti, dovuti a una fame di vita non comune che è l’antitesi della voglia di assestamento e di radicamento tipica degli emigrati. Uno di questi eterni nomadi, amanti dell’avventura e del cambiamento, è Giose Rimanelli, autore di romanzi, tra cui “Tiro al piccione” che gli procura già da giovane notorietà.
La storia avventurosa di Rimanelli, presentataci da Norberto Lombardi in “Altrove”, ha i contorni di una narrazione alla Jack Kerouac. Rimanelli, tra l’altro, collaborò per qualche mese col Cittadino Canadese. Fu verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso, quindi al tempo di Antonino Spada. Un giudizio di Rimanelli sul Québec di allora: “A Montréal trovai un ambiente sociale e di vita dinamico e duro allo stesso tempo. Vedevo i miei genitori uscire di notte per il lavoro, con un freddo tagliente, e rientrare di notte; gli operai delle costruzioni chinare la testa di fronte ai taglieggiamenti dei boss; gli anglofoni manifestare sufficienza e distacco verso gli italiani per il loro semplice e un po’ primitivo modo di vivere, e i francofoni avvolgerli d’invidia e risentimento per la loro capacità di lavoro e di miglioramento; i nostri immigrati, pur nella loro ossessiva ricerca del risparmio, fare un veloce cammino di civilizzazione, vestendo meglio, alimentandosi meglio, investendo sullo studio dei figli; i connazionali raccogliersi nelle pittoresche e ingenue manifestazioni della Piccola Italia, che vedevano una vasta partecipazione intorno a motivi nostalgici e, talvolta, retorici; quelli che erano stati contadini, operai e piccoli artigiani integrarsi giorno per giorno nella nuova terra e, nello stesso tempo, conservare tenacemente i segni profondi della terra originaria: il dialetto, le tradizioni, i valori, il senso di appartenenza ai paesi dell’infanzia”.