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Le parole pensano

 

Non credo alla figura dell’insegnante di lingua straniera. Una lingua si acquisisce. Al limite, si impara. In altri termini, il processo riguarda unicamente chi, a una lingua, si avvicini, o per scelta, o per obbligo, o per destino curriculare. E non può essere la storia di un(‘)insegnante. È, semmai, sempre la storia del cuore di colui che desidera acquisire una lingua seconda o straniera.

 

Eppure, in qualche misura, da quasi trenta anni, orbito attorno a persone di tutte le età alle prese con il corpo a corpo con la lingua del “sì’’. Mi vedo come un semplice facilitatore di questa loro avventura. Così, a volte, posso ritrovarmi in classe a parlare dell’ “esserci’’ di Heidegger o del pessimismo leopardiano con studenti che ormai si servono dell’italiano come di una lingua materna (e quante cose imparo da loro!); in altre occasioni, invece, devo rispondere alle innocenti domande di giovani desiderosi di dare un suono italiano al loro mondo. L’altro giorno, un bambino di lingua francese mi chiede come tradurre in italiano “demi-frère’’. Non è la prima volta che mi succede. E immancabilmente, trasalisco. Quell’orribile suffisso, – astro, che non ha nulla di… nebuloso e cosmico, mi trafigge le sinapsi. Ovviamente, devo rispondere. Decido di girarci attorno, affermando che, tanto per cominciare, non nutro una particolare simpatia per questo… “fratello dimezzato’’ della lingua di Molière, né tantomeno per quello stepbrother dell’inglese, che rinvia all’idea dell’orfano e della perdita. Gli studenti mi guardano, incuriositi, e sembrano pensare: “Vabbè, ce lo dirà o no, come si dice “demi-frère’’ in italiano? Forse non lo sa nemmeno lui!’’. Mi faccio coraggio e scrivo alla lavagna quest’orribile parola italiana: fratellastro (non che lo spagnolo abbia di meglio, per inciso). E, con una strana incoscienza, mi affretto anche a precisare che questo inquietante suffisso si applica, ovviamente, anche alla sorella francofona (sì, anche quella lì tagliata in due!)

 

Però, non rinuncio a dir loro che le parole pensano. Che definire con un suono dispregiativo (come è nel caso del nostro suffisso –astro) un membro acquisito di una famiglia che cambia, si allarga, si diversifica è la cifra di un’idea di famiglia retriva, che si rinchiude nella freddezza della biologia e non si fa accoglienza. Propongo loro di pensare semplicemente all’idea di fratello e sorella, persone con cui condividere il cammino della vita. Ricordo loro che è fratello anche chi con noi non ha legami di sangue, chi ci sostiene e ci nutre della sua esperienza con affetto e voglia di crescere insieme.

 

Dio solo sa quanto di questi tempi abbiamo bisogno di fratellanza e sorellanza!

 

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