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Le denunce di un italiano atipico

Il generale Roberto Vannacci, con il suo libro “Il mondo al contrario”, ha suscitato una tempesta di polemiche e pesanti accuse di razzismo e omofobia. Nel libro, in realtà, egli non fa che descrivere con spirito candido, pur se doloroso, la straordinaria decadenza dei costumi, dei valori e dei sentimenti un tempo considerati normali ma oggi messi al bando e vituperati. L’autore evita di identificare le forze politiche responsabili di questo degrado, né tampoco risale a monte nell’attribuzione delle responsabilità. Dopo tutto, da militare di carriera, ha degli obblighi verso i corresponsabili attuali del disastro. Di qui un’impressione d’ingenuità nel suo stupirsi di un fetore al quale le narici di molti italiani sono ormai assuefatte.   

 

Vannacci è un contabile realista: enumera diligentemente le aberrazioni di un sistema che deresponsabilizza i criminali, che condona il fenomeno delle occupazioni abusive, che sabota la famiglia normale, che esalta la transessualità e l’omosessualità – fenomeni decisamente minoritari ma che la propaganda delle nostre élites innalza a modello virtuoso per le masse – che nega le differenze biologiche, che nega le diversità dei popoli, che elimina le frontiere, e via continuando…

 

Il forte patriottismo del nostro generale mi ha lasciato a tutta prima perplesso, perché è un patriottismo atipico in Italia, anche tra gli uomini di destra. Il suo particolare senso dell’identità italiana è straordinariamente simile al mio che sono un esule istriano parente di infoibati e che vivo all’estero. Ma infine ho capito, apprendendo che il generale ha vissuto per tanti anni fuori dell’Italia; è divenuto, tra l’altro, quasi francese. La moglie del generale è romena.   Vannacci   è quindi un uomo che viene da lontano, con un’idea della Patria molto alta; idea estranea alla stragrande maggioranza degli italiani rimasti nella penisola. 

 

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La vita all’estero ci familiarizza invece con quella misteriosa realtà che è il sentimento di appartenenza. Solo chi ha provato, nel più profondo dell’anima, la lontananza della patria, ed inoltre ha conosciuto il grado d’intensità del senso di appartenenza degli altri, che hanno un’identità culturale, e una lingua, e delle memorie storiche diverse dalle nostre, sperimenta la forza del nobile e misterioso legame che ci lega alla terra dei padri. (“Io non sono un cittadino del mondo”, ha osato proclamare il generale, suscitando risa sguaiate e pernacchi tra gli orgogliosi eredi di Arlecchino e Pulcinella.) 

 

  Il generale non è un gretto reazionario e non è un omofobo, ma l’omofobia ha assunto ormai un rango simile a quello dell’antisemitismo: arma suprema. È profondamente critico però del politically correct, questo ruolino di marcia di chi vuol rovesciare i nostri valori, consuetudini, istituzioni, attuando il capovolgimento della normalità. Perché la normalità esiste: questa è una delle sue audaci tesi che gli hanno valso una bordata di attacchi.      

 

Il generale è un nobile conservatore. E nello stesso tempo è un uomo moderno, aperto al nuovo, conoscitore della tecnologia, capace di assumere il comando in situazioni difficili, e che parla diverse lingue, e ha vissuto sotto altri cieli, e ha corso rischi per difendere uomini e civiltà straniere. 

 

Se evita nella sua analisi di andare a monte dei problemi, lo fa perché è cosciente, come servitore di uno Stato « nato dalla Resistenza » e in cui abbondano gli odi civili, di camminare sulle uova. Rifugge quindi dalle diatribe e denuncia i peccati, ma non i peccatori ossia i politici e le élites occidentali responsabili di questo sfacelo. Ma così facendo può quasi apparire un ingenuo. 

 

Il generale Vannacci è soprattutto desideroso di salvaguardare la preziosa eredità ricevuta in famiglia, e vorrebbe che anche gli altri, che hanno avuto la fortuna di nascere in questo straordinario paese che è l’Italia, possano lasciarla ai propri figli.     

 

Panfilo Gentile scrisse: “Ci sono delle epoche nella storia in cui si può andare avanti soltanto tornando indietro. Sono le epoche di decadenza, nelle quali una civiltà che si credeva acquisita si viene disfacendo sotto i nostri occhi costernati. Quando un organismo va in putrefazione, non si può costruire niente tra i miasmi. Bisogna ricominciare da capo, tornare indietro e recuperare ciò che si è perduto.”

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