Se potessimo osservare lo schiaffo spumoso di un’onda su uno scoglio, saremmo sorpresi dalla rivelazione improvvisa, al nostro sguardo, di tutto un microcosmo di vita di cui ignoravamo l’esistenza: conchiglie, formazioni rocciose, tutta vita nascosta che, poi, il moto di risacca creato da una nuova onda tornerebbe a restituire all’invisibilità. Ecco, riflettere su questo potrebbe spingerci a ritenere che quello che è , la verità delle cose, si concretizza in una dinamica di disvelamenti e occultamenti successivi. Potremmo, insomma, essere indotti a sospettare che la verità sia costretta, dapprima, in uno stato di clandestinità, illuminato a giorno dal caso o dalla nostra ricerca, per poi ritrovarsi, di nuovo, soggetta a un ennesimo nascondimento. Lo sapevano bene i Greci, quando chiamavano aletheia ciò che del reale “non è più celato, non più trascurato o dimenticato’’: quell’alfa privativo in α-letheia, rappresenta, infatti, un momento di negazione e di liberazione da una condizione naturale di oblio. Un’idea della verità, quella dei Greci, sostanzialmente diversa dal verus dei Latini: la verità dei tempi di Cicerone, infatti, rinviava, se vogliamo riferirci agli idiomi indoeuropei, alla radice “var’’ che significa “volere, scegliere, credere’’. La verità latina, in altri termini, finiva per collimare con l’idea di fede relativamente a fatti che sono ritenuti veri sostanzialmente in base a un atto di volontà, di credenza. Non è questa la sede per passare in rassegna le idee sulla verità che dagli albori della speculazione filosofica si sono succedute nel tempo; una cosa è certa: il pensiero non è mai pervenuto a definire univocamente la ricerca del vero. La verità ci “sabbia’’ ancora tra le dita (se mi si concede il verbo “sabbiare’’), resta un enigma fluido, sempre sfuggente. Il pensiero va alla verità come la pensava Nietzsche, cioè vista come un illusorio esercito mobile di metafore, destinato a capitolare ogni volta che scopriamo l’inganno delle convenzioni e delle abitudini.
Ci sarà sempre un lato oscuro di questa verità lunare, un continuo disvelare e rioccultare. Quello che conta non è il raggiungimento di un porto sicuro, ma la capacità di sopportare le procelle di una ricerca inesausta, con noi, ulissi tragicamente e inesorabilmente abbacinati da un canto sirenico, spinti a proseguire tra i marosi della conoscenza.
Del resto, solo chi si arricchisce di tanto sapere può avere un’idea della magnitudine della propria eterna ignoranza.