Osservando “Gli amanti’’ di Magritte, mi concedo il fascino di ipotizzare che egli avesse in mente il Simposio di Platone, quando, per bocca di Aristofane, il filosofo delle Idee afferma che “gli amanti, che passano la vita insieme, non sanno dire che cosa vogliono l’uno dall’altro’’. Ecco, nella rappresentazione del gesto d’amore magrittiano, mi sembra risuoni proprio questa platonica impossibilità. Osservate quel “bacio’’ e la sua mancanza di concretezza. I veli che castigano la composta effusione degli amanti non mutilano solamente il dolce contatto delle labbra amorose, no; c’è qualcosa di ben più radicale nel tormento dell’immagine di questi due velati amanti. Magritte ci pone davanti all’inappellabile sanzione dell’ineffabilità e dell’impossibilità del rapporto amoroso in se stesso. L’Amore diventa mancanza. Mancanza incomunicata ed incomunicabile, vestigio di un’unità ancestrale e smarrita che non conosce forme espressive altre se non l’afasia di chi osservi l’amato con il terrore di vederlo allontanarsi, nonostante gli sforzi per raggiungerlo. Non sembra anche a voi di essere così lontani dalla reciprocità irrinunciabile del sentimento d’Amore che, ad esempio, vediamo espressa nelle parole di Francesca da Rimini nel V canto dell’Inferno dantesco? Quando, in quell’ “Amor ch’a nullo amato amar perdona’’, il Padre della lingua italiana rende omaggio ai canoni dell’amor cortese, egli si oppone con tutte le forze del suo animo all’idea che sia lecito non corrispondere il dono dell’Amore. Chi è amato, secondo Dante, deve giocoforza riamare! Valga questo anche le pene dell’inferno! Valga persino lo svenimento di Dante!
Eppure, mi chiedo, siamo davvero davanti a due visioni contrapposte della dinamica amorosa? Nello struggimento degli amanti di Magritte, così come nella necessaria e disperante corresponsione dell’Amore nelle parole di Francesca, non si resta forse imprigionati in una tensione di separazione e di desiderio inesausto? In fondo, anche nella dinamica dell’amore cortese, il desiderio si nutre di una sua impossibilità. E questo perché, in fondo, l’Amore, tale ha da rimanere: desiderio. Desiderio di ciò che sfugge. Di ciò che non conosce parola che lo rappresenti. Di una somma impossibilità a cui non potremmo mai rinunciare. Guai al suo compiersi, al suo realizzarsi. L’Amore è costante apertura, inappagata, tesa verso un’indicibile oltrità. Vivere l’Amore è vivere la sua fragilità, fatta di silenzi, di un moto continuo, un percorso che non richiede altro che di essere esperito nella sua ubiqua centralità
