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La morte di Abraham B. Yehoshua

Giornali e TV in Italia hanno dato il meritato rilievo alla scomparsa di un grande romanziere e intellettuale israeliano: Abraham B. Yehoshua; un essere profondamente umano, con un grande rispetto per gli ‘arabi, “suoi cugini”. E inoltre amante dell’Italia; basti dire che il “Libro Cuore” di Edmondo De Amicis, che lo nutrì sentimentalmente e moralmente negli anni giovanili, era rimasto, è proprio il caso di dire, nel suo cuore. A questo proposito vale la pena ricordare il grottesco giudizio che il nostro Umberto Eco, icona sacra del pensiero dominante all’italiana, prepotentemente ideologico, espresse invece sul capolavoro di De Amicis definito “protofascista”.

Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, commemora degnamente Yehoshua, di cui ricorda la straordinaria apertura di spirito che permise a questo grande israeliano di capire il dramma dei palestinesi; e di esprimere idee originali e profonde sull’identità ebraica; idee, però, tabù perché contrarie all’establishment religioso israeliano, cultore dei miti biblici e assertore dell’origine divina del proprio popolo.

“Uno Stato solo, ma di tutti” titola il Corriere. Era il progetto caldeggiato da Yeho- shua: “Vivere insieme, sotto lo stesso tetto, sotto un unico cielo. Saremo uno Stato solo ma non uno Stato ebraico: aperto ai palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania”. Tutto ciò può sembrare utopico e probabilmente lo è. Ma poggia su un realistico esame dell’identità ebraica, degli eventi storici, e sulla denuncia di certi eccessi del nazionalismo ebraico basato sulla genealogia, sul sangue, sulla religione e sui miti. L’articolo di Aldo Cazzullo apre qualche spiraglio sulla visione di Abraham B. Yehoshua assai critico di certi eccessi dovuti a una identità che si ispira al soprannaturale, alla persecuzione sistematica vera e inventata per mano dei non ebrei, e alla cattiveria “genetica” di quest’ultimi: “Dobbiamo diminuire l’intensità della memoria. (…) Uscire dalla trappola dell’identità.”

Ad un certo momento Yehoshua sembra denunciare persino l’ossessione della Shoah: “E poi la Shoa…”. Tutto quanto si riferisca al popolo d’Israele è un terreno minato, e quindi anche i celebratori di Yehoshua mai riferiscono le idee dai lui espresse in due saggi illuminanti, totalmente ignoti ai più e mai menzionati: (titolo francese) “Israel, un examen moral” e “Pour une normalité juive”. Dare qui ai nostri lettori una sintesi di queste idee sarebbe impresa ardua. Mi limiterò ad enunciarne qualcuna.

Yehoshua propone la “normalizzazione” agli ebrei attraverso il globo, dopo le migliaia d’anni di persecuzioni, realtà che Yehoshua equipara a quella di un gruppo di gente che si fosse ostinata per secoli a camminare al centro della strada, e che insistesse nell’accusare gli altri, ossia carrettieri e automobilisti, per i numerosi investimenti subiti. Gli ebrei dovrebbero salire sul marciapiede insomma. Normalizzarsi. Smettere di essere una tribù che fa delle leggende, del nomadismo, del vittimismo, e della genetica i suoi pilastri portanti. Dovrebbero separare la religione dall’identità nazionale; dare priorità alla legge nazionale del Paese ospitante rispetto alla Legge divina. E andare a vivere in Israele, se considerano che questa è la loro vera patria. Altra sua tesi: I romani non hanno deportato gli Ebrei, se non un piccolo numero di loro. Le cause dell’antisemitismo? Le troviamo nella Bibbia. Il libro di Esther: “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le provincie del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non è quindi interesse del re tollerarlo”.

La forza degli Ebrei? Avere una patria virtuale: la Gerusalemme celeste, che niente può cancellare dal “ricordo”. E mi fermo qui, ma forse ho già detto troppo…

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