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La lingua italiana | La politica in Italia tra ‘ndrine e cacicchi

Nell’Italia democratica, fondata sul lavoro ma anche sugli intrallazzi, il prontuario della politica si è arricchito ultimamente di “cacicco”.  Tale termine, designante in origine il capo di comunità tribali nei Caraibi e nell’America del sud e nel Messico, identifica invece nel Bel Paese, in senso derisivo e provocatorio, uno di quei personaggi autoritari, calcolatori e spesso anche senza scrupoli che dirigono i minuscoli potentati politico-elettorali locali. Dall’Ansa, «Conte: ‘io con Schlein se lei contro cacicchi e capibastone’».  Il quotidiano La Verità, trattando lo stesso tema, ricorre invece al termine ‘ndrina: “Il PD mise l’uomo delle ‘ndrine a fare il controllo sugli appalti”.  Non c’è che dire: la terminologia malavitosa è di attualità nelle cronache politiche della nostra Italia.

 

Io, da appassionato dei gerghi delinquenziali, rimpiango l’antico termine “masnadiero” che oggi nessuno usa più. Vorrei anche che ci si servisse più spesso del termine “ras”, molto espressivo. Ma approfitto per esprimere il mio grande rispetto per quel “capo di tutti i capi”, di cui, se messo alle strette, sarei pronto a baciare le mani. I giornalisti italiani, invece, che fanno? Si precipitano con voluttà sulla parola boss; termine che in Italia non designa mai il padrone, il capufficio, il caporeparto, il capofabbrica, il padrone delle ferriere, o la mogliera, dopo tutto anche loro boss. Il boss per i nostri organi d’informazione è, sempre e solamente, uno della mala. Sulla stampa della Penisola, per un capo, un capoccia, un capobastone o un capo mandamento (mandamento = zona d’influenza di una famiglia o di un gruppo di affiliati), troviamo innumerevoli boss e baby-boss, promossi tali in redazione dal cronista smanioso di usare termini tratti dal magico mondo americano.

 

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Il progresso linguistico del lessico delinquenziale italiano, dal dopoguerra ad oggi, prima però che boss e killer falcidiassero vigliaccamente il ricco vocabolario criminoso nostrano, non è stato solo quantitativo ma qualitativo. Il glossario criminale, infatti, è diventato più sfaccettato, compiendo un salto di qualità che ricorda quei pastori nostrani che passarono dall’abigeato ai sequestri di persona, o quei contrabbandieri-passatori che sulle coste, di notte, non scaricavano più “bionde americane” ma clandestini africani. E così il termine “spallonaggio” si è socialmente innalzato, poiché ormai designa soprattutto il contrabbando di valuta all’estero. “Spallonaggio” deriva dal termine “spallone”, identificante il contrabbandiere dei tempi eroici che trasportava fra l’Italia e la Svizzera generi alimentari, caffè, e soprattutto sigarette.

 

Il buscherare, il bidonare, l’aggirare, il raggirare, il millantare, il truffare, il dare la sola, il rifilare lo scartiloffio, l’ingannare, l’imbrogliare, il frodare, il barare, il derubare, l’estorcere, il fregare, l’abbindolare, l’infinocchiare, ecc. si sono arricchiti, grazie anche alla tecnologia, di nuovi metodi operativi.

 

Anche la bustarella, vocabolo quasi d’altri tempi e con una connotazione casereccia, si è arricchita grazie alla sua grande diffusione nell’Italia odierna. Dal dopoguerra ad oggi, in un’Italia finalmente liberata dal fascismo (che col prefetto Mori ci liberò, per vent’anni, di mafie, ‘ndranghete e camorre), la corruzione si è diffusa assumendo le più svariate forme tra cui il riciclaggio. Il che spiega la necessità di far ricorso a termini alternativi, indispensabili per indicare il particolare modus operandi delittuoso adottato nella fattispecie, e molto utili ai redattori di cronaca nera per ravvivare la monotonia stilistica dei loro articoli. Un benvenuto quindi – ma solo linguisticamente parlando – ai  nostri “cacicchi” e ai loro accoliti e portaborse.

 

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