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Israele: una svolta forse epocale

La controffensiva di Benjamin Netanyahu contro i palestinesi rischia di intaccare l’unità ideale esistente fin qui tra gli ebrei. Tra gli ebrei della diaspora esiste infatti un sentimento critico nei confronti di questa ostentata, crudele mancanza di umanità e pietà verso i civili palestinesi. Molti avvertono inoltre il pericolo che da questi sanguinosi eventi riemerga l’abietto antisemitismo. L’accusa di antisemitismo sembra già aver perso qualcosa della sua originaria forza paralizzante. In sostanza, la si teme di meno.

 

Gli ebrei avevano quasi un monopolio sulla nozione di genocidio. Gli armeni discendenti delle vittime dei turchi, e gli ucraini commemoranti l’Holodomor lo sanno bene. Ed ecco che la Corte Internazionale di Giustizia ha aperto un’istruttoria contro Israele, per sospetto di genocidio.

 

Assisteremo forse ad una svolta nella percezione e auto percezione dell’identità ebraica.  L’“unica democrazia del Medio Oriente” siede oggi sul banco degli imputati. La Nabka del 1948 torna oggi d’attualità. La luminosa immagine degli ebrei emersa dall’Olocausto è stata offuscata dalle violenze dei coloni ebrei contro i palestinesi dei territori occupati, e dall’apartheid de facto praticata contro questi ultimi, e oggi dal fanatismo guerriero di Netanyahu, con le scene apocalittiche delle distruzioni causate dai bombardamenti.

 

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Gli altri popoli persero in epoca antica l’innocenza, combattendo i nemici e avversando gli estranei, i foresti, gli stranieri (tra cui gli ebrei del tempo). Decidendo di accettare la logica del radicamento in un suolo e costituendo lo Stato-Nazione, gli ebrei della dispersione, divenuti israeliani, si sono trovati sottoposti alle esigenze dell’egoismo dello stato sovrano. E hanno lottato anche loro contro gli avversari, contro gli stranieri (i loro “ebrei”), nel nome di un territorio a loro riservato di cui dovevano difendere i confini. E hanno perso, come tutti gli altri popoli, l’innocenza.

 

Netanyahu e i suoi sono però andati ben oltre il limite del normale egoismo connaturato alla Nazione. E ciò a causa del carattere biblico-messianico del loro nazionalismo. Il giudaismo è una potente miscela basata su tre ingredienti: Popolo, Nazione, Religione. Il Popolo-Nazione deve la propria ragion d’essere alla religione, e la religione deve la propria ragion d’essere al Popolo-Nazione. Al centro della religione ebraica vi è la storia del popolo ebraico, e al centro della storia e dell’identità del popolo ebraico vi è la religione. Un connubio, direi, incestuoso, perché nel ruolo di celebrante e nel ruolo di celebrato troviamo un identico soggetto: il popolo d’Israele. L’albero genealogico conta molto in questa religione etnica che ha un suo Dio esclusivo.

 

Questo tribalismo è in aperto contrasto con lo spirito della Nazione quale gli altri popoli la concepiscono.  Nella logica normale della Nazione, è la terra, sono il radicamento e la continuità in un suolo, e non  la religione con i suoi miti e le sue leggende, e non il Dna, a creare il sentimento di un comune destino collettivo e a nutrire lo spirito di uguaglianza e fratellanza tra i figli di una stessa patria. Dico ciò come esule dall’Istria, terra in cui  a contare sono il sentimento nazionale, la cultura, la scelta di un’appartenenza e di un’identità, e non il vincolo genealogico dovuto al sangue, all’etnia. Il tribalismo, invece, anche se ammantato di testi sacri, di miti e di leggende, rimane una primitiva e anacronistica forma associativa nazionale, poiché esclude gli altri su una base religioso-razziale. Infatti i palestinesi, nativi dello stesso sacro suolo, sono considerati gente estranea e nemica, da sospingere al di fuori della Grande Israele. Da Dio assegnata – ci avverte BenjaminNetanyahu – esclusivamente agli ebrei.

 

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