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Il sessimo dell’Italiano

 

 

Flavio Deflorian, oggi rettore dell’Università di Trento, ricoprirebbe, ben presto, il ruolo di… rettrice! Questo, quando sarà emanato e pubblicato il nuovo regolamento d’ateneo che adotta il femminile sovraesteso per riferirsi a cariche che, tradizionalmente, vengono indicate con termini maschili, quindi ritenuti non inclusivi. Nel regolamento dell’ateneo in questione, si afferma, infatti, al Titolo, art. 1, comma 5 che ‘’i termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone’’. Di conseguenza, usando parole come la presidente, la rettrice, la segretaria, la decana, la candidata, la professoressa, il testo si prefigge di rivolgersi indistintamente a individui di sesso maschile, femminile e a persone non-binarie, cioè non aderenti, per scelta culturale e comportamentale, a nessuno dei due generi naturali. Il nodo della legittimità dell’uso del maschile come forma neutra, detto maschile non marcato, faceva riflettere, già alla fine degli anni Ottanta, linguiste e linguisti come Alma Sabatini che vedeva in un determinato uso della lingua – come sarebbe il maschile non marcato –  uno strumento di dominio e di imposizione e proponeva, ad esempio, di evitare l’uso di termini come fratellanza (sostituito con solidarietà), paternità di un’opera (sostituito con maternità nel caso in cui si tratti di un’opera realizzata da una donna). Se è vero, come si sente dire nei corsi di linguistica, che a un deficit lessicale corrisponde un vuoto culturale, si capiscono le ragioni di chi vorrebbe opporsi all’androcentrismo dell’italiano, come di altre lingue latine. Ultimamente, nella mia ormai quasi trentennale pratica di facilitatore dell’italiano (qualcuno di voi ricorderà che non  credo agli insegnanti di lingua; esistono solamente discenti), mi succede di dover indicare a certe persone la possibilità di aggirare l’uso della binarietà di aggettivi e participi passati preceduti dall’ausiliare essere attraverso l’uso dello scevà (ə), questo suono vocalico intermedio che consente agli individui non-binari di potersi descrivere o rappresentare in certe azioni senza dover fare uso di morfologie tipicamente maschili o femminili. Ma bisognerà trovare soluzioni che vadano oltre la soluzione diametralmente opposta del femminile sovraesteso, anche se può servire, per il momento, a sensibilizzare le coscienze sui pericoli di un uso diffusamente sessista dell’italiano.

Come non ricordare Roland Barthes quando ricordava che la lingua è fascista.

 

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