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Il presidente e la neve

Di cosa è indizio la volontà di Giorgia Meloni di essere indicata con la formula ‘’il presidente del Consiglio”? Quell’articolo maschile, “il’, non suona (forse involontariamente) come una rinuncia a sottolineare una novità storica: quella, cioè,  di essere davanti alla prima signora ad aver fatto tremare e mandare in frantumi l’invisibile sopraccielo di cristallo, da sempre ostacolo per una donna a ricoprire cariche istituzionali importanti? Insomma, Giorgia Meloni sarebbe il sessantasettesimo presidente del Consiglio. Solo un vezzo linguistico di scarsa importanza? Possiamo esser sicuri che l’onorevole Meloni, schivando un nobilissimo e ortodosso “la presidente’’, abbia evitato di situarsi, come le ha fatto notare una deputata dell’opposizione, a “un passo dietro agli uomini’’?

 

Ai posteri l’ardua sentenza. Il problema è che noi siamo linguaggio. Noi pensiamo in base all’architettura e alla ricchezza del nostro linguaggio. Prima ancora di un’azione, e prima ancora del pensiero che ha pensato quell’azione, esiste una parola, o meglio un insieme di parole che sono la colonna portante del nostro agire nella Storia. Il nostro incidere su un aspetto della realtà non può non dipendere da come “definiamo’’ linguisticamente quell’aspetto. Confucio pensava che la prima decisione di un imperatore fosse quella di ‘’rettificare i termini’’, perché governare giustamente fosse il risultato di aver, prima di tutto, “definito’’ le cose intorno a noi nella giusta maniera. Sembra che gli Eschimesi facciano uso di quasi cento parole per descrivere la neve: quella appena caduta, quella percorsa dall’orma di un orso, quella calpestata da un bambino, quella su cui è bene non camminare per non sprofondare nelle acque ghiacciate, e così via…

 

Ed ad ogni parola corrisponde un pensare e un agire conformi al potenziale espressivo di quella parabola (una “parola’’ è un “paraballein’’, un comparare un suono a un’idea, un legare quel suono a una visione di ciò che ci circonda). Le conseguenze di quanto incida una parola sulla realtà sono giocoforza molteplici. Una parola è strumento di selezione sociale: può includere, come escludere. Può essere tribale o ecumenica. Esprimere o meno una volontà di cambiamento. Claudio Marazzini, il presidente dell’Accademia della Crusca, non manca di scorgere una vena ideologica nella scelta di non usare l’articolo “la’’ per la parola “presidente’’, come succede con parole quali ‘’supplente, dirigente, etc.’’ intese al femminile. Come una neve a ricoprire le cose e a conservarle. Così com’erano. Perché, in fondo, non cambino.

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