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Il Papa e la tragedia degli aborigeni canadesi

Nel corso del suo periplo in Canada, Papa Francesco ha chiesto scusa, a diverse riprese, per il comportamento di certi indegni membri della Chiesa nelle scuole-convitto create per figli degli autoctoni, strappati alle loro famiglie. E, addolorato, ha chiesto perdono anche per la distruzione culturale e l’assimilazione forzata di questi giovani. Basteranno queste scuse alle Prime Nazioni del Canada?

La visita del Papa è stata vista da loro come un inizio, e non come una conclusione. Lo stesso Ministro canadese delle “Relazioni Corona-Autoctoni”, Marc Miller, ha detto che la peggior cosa sarebbe non fare nulla dopo il viaggio storico del Papa in Canada. E assai simile al suo è il giudizio dellamaggioranza degli stessi aborigeni, che aspettano, come dire, un risarcimento per i torti subiti ad opera dei colonizzatori.

Il tema è troppo complesso per poterlo presentare in qualche riga. Inoltre è un tema controverso. Farò solo un accenno a certe voci dissonanti rispetto alla recitazione corale del “confiteor” nei confronti dei nativi canadesi.

I loro leader non sono sempre un modello di virtù.

Il termine “genocidio”, relativamente alla disfatta della cultura dei popoli aborigeni ad opera della cultura europea, al quale i nativi ricorrono, e che è stato usato dallo stesso Papa, non è accettato da tutti. Ad esso alcuni preferiscono “etnocidio”. Altri: genocidio culturale.

Il giornalista quebecchese Christian Rioux (Le Devoir), difensore dei valori tradizionali dell’Occidente, mette in guardia contro chi vuol negare a generazioni intere, in Occidente, “il minimo motivo di orgoglio per una civiltà cristiana che, dopo aver praticato la schiavitù, è stata la sola ad averla abolita.” Gli accusatori dell’Occidente non si rendono conto che si contraddicono, continua Rioux, “poiché non hanno in bocca che i diritti dell’Uomo… invenzione prettamente occidentale, dopo tutto”.

Rioux ci mette in guardia contro il sensazionalismo mediatico, il delirio vittimistico, e “la volontà utopica di pulire il mondo (…) di tutte le sue macchie per renderlo perfetto”, come scrive Chantal Delsol. La Storia “non ha per scopo di confortare né i vincitori né i vinti”, asserisce questo intellettuale, spirito coraggioso e anticonformista.

Christian Rioux cita lo storico francese Frédéric Dorel, il quale si dichiara contro l’uso del termine genocidio, dal momento che “i cattolici videro nell’indiano un dimenticato da Dio da salvare attraverso il battesimo” e non certo da uccidere. Anch’io sono restio a questo continuo chiedere scusa degli occidentali al resto del mondo. La Chiesa, dopo tutto, ha certamente fatto anche del bene agli abitanti del Canada, aborigeni inclusi. Eppure, nell’intimo, riconosco pienamente la tragedia delle popolazioni indigene canadesi, anche se non è sempre facile indicare i colpevoli delle loro sfortune. E mi sento solidale con loro.

Dai giornali di non molto tempo fa: “I resti mortali di 215 bambini autoctoni ritrovati sul sito di un collegio.” Ma non è la sola notizia di questo genere. Ve ne sono state diverse altre, riguardanti i rozzi cimiteri – di cui non si sapeva nulla – scoperti nelle vicinanze di queste scuole residenziali, sorta di reclusori di rieducazione.

È una grande tragedia che suscita pietà. Ma vi è stato qualcuno che li ha capiti e li ha aiutati: il nostro John Ciaccia; il quale ha spiegato così il suo desiderio di aiutare i “diversi”: “Crescendo da bambino come italiano canadese mi ero visto negare la mia cultura. Conoscevo tutto dei contrasti e tormenti nei campi da gioco. Stavo forse espri-mendo i miei bisogni che proiettavo sui Nativi? Poiché rappresentavo il Governo, io ero il Governo. Mai avrei permesso che ingiustizie simili avvenissero ai Nativi”.

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