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IL MOSTRO ASSOLTO

Fin dai suoi esordi, Hollywood ha fatto sognare un gran numero di uomini e donne. Tuttavia, anche per chi ha avuto successo, talvolta questo sogno si è trasformato in un incubo. L’espressione “casting couch” è strettamente legata a tutto ciò. Letteralmente, “divano per il casting” è un eufemismo della lingua inglese usato per indicare l’atto con cui una persona che ha la possibilità di assegnare dei ruoli per un cast (gli attori e le attrici in un film) richiede in cambio delle prestazioni sessuali dagli aspiranti attori o attrici. Da sempre, questo fenomeno è stato denunciato senza molto successo, fino al Movimento #Metoo. Ricordiamoci che nel 2017 le donne hanno iniziato a denunciare apertamente gli abusi e le molestie sessuali subite per mano di uomini come Harvey Weinstein. Quest’ultimo, e suo fratello Bob, hanno prodotto dei film di grande successo.

 

Harvey Weinstein, ex magnate di Hollywood, è diventato quindi il nemico pubblico numero uno del movimento #MeToo. Le accuse contro di lui, denunciate da un centinaio di donne, risalgono agli anni Settanta. Ora dovrebbe essere di nuovo un uomo libero, almeno secondo la più Alta Corte dello Stato di New York. Il 25 aprile, la Corte d’Appello ha stabilito che Weinstein non ha ricevuto un giusto processo quando nel 2020 è stato riconosciuto colpevole di crimini sessuali e condannato a 23 anni di carcere. Potrebbe affrontare un nuovo processo a New York e, in ogni caso, sconterà una pena di 16 anni di carcere in California per stupro, quindi rimarrà dietro le sbarre. Ma l’impatto simbolico di questa decisione – la più grande battuta d’arresto di #MeToo – è significativo.

 

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Sebbene la decisione sia stata uno shock per il grande pubblico, per molti avvocati non è stato così. Pensate che nel 2023 un sondaggio di YouGov ha rilevato che l’83% degli americani riteneva Weinstein colpevole di accuse come quelle di stupro e aggressione sessuale, INDIPENDENTEMENTE DAL VERDETTO! Ma se il tribunale dell’opinione pubblica ha pochi dubbi sulla colpevolezza del signor Weinstein – che è stato denunciato pubblicamente da più di 100 donne, per atti che vanno dalle molestie allo stupro – la sua condanna penale a New York è sempre stata più incerta. La controversa decisione del giudice del processo di consentire a tre donne di testimoniare sul modo in cui erano state trattate, anche se i loro casi non rientravano tra le accuse per le quali si era svolto il processo, e di poter così testimoniare su precedenti “cattivi atti” di Weinstein, ha aperto sicuramente la porta ad un appello.


Ammettendo queste ulteriori accusatrici, hanno sostenuto gli avvocati di Weinstein nel loro appello contro la sua condanna, il giudice aveva inondato il processo di “prove eccessive, aleatorie e altamente discutibili di atti riprovevoli precedenti”. Quattro dei sette giudici della corte d’appello hanno condiviso questo parere, stabilendo nella loro sentenza che il tribunale di primo grado “aveva erroneamente ammesso testimonianze su presunti atti sessuali precedenti, non denunciati”. Questi errori sono stati aggravati quando il giudice ha deciso che il sig. Weinstein poteva essere controinterrogato su queste e altre accuse che lo ponevano in una “luce altamente pregiudizievole”. I giudici hanno sottolineato che, in virtù del sistema newyorkese, l’imputato ha il diritto di essere ritenuto responsabile solo del reato di cui è accusato.

 

Un sistema giudiziario riconosce che tutti gli imputati, anche i più impopolari, meritino un giusto processo. La testimonianza di donne estranee ai reati per i quali Weinstein era sotto processo è servita soltanto ad avvelenare lo spirito e la mente della giuria contro Weinstein. La strategia del procuratore di stato è stata rischiosa. I procuratori incaricati dei casi di violenza domestica e di crimini sessuali chiedono regolarmente di poter chiamare a testimoniare degli accusatori estranei al caso. Nel processo Weinstein, hanno sostenuto che la cultura del “casting couch”, in cui le donne accordavano dei favori sessuali in cambio di ruoli, era un modello e che erano necessari altri testimoni per rendere chiaro alla giuria questo modus operandi. Nella loro sentenza, i giudici della Corte d’appello hanno concluso che il rimedio a questi errori clamorosi è un nuovo processo. L’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan ha confermato che ne farà richiesta.


Nel frattempo, il signor Weinstein, che stava scontando una pena in un penitenziario a quattro ore di macchina da Montréal, sarà trasferito a Los Angeles per iniziare a scontare la sua pena lì, visto che anche in California è stato condannato per altri crimini sessuali. Uno dei suoi avvocati ha sostenuto che, anche in questo caso, il signor Weinstein è stato sottoposto a un processo ingiusto, avendo permesso ai procuratori di stato di scegliere di non incriminare Weinstein in relazione alle accuse di alcune donne, pur consentendo loro di raccontare alla giuria ciò che avevano subìto. Questo modo di fare pone l’imputato nella situazione di doversi difendere, nell’ambito dello stesso processo, non solo dai reati di cui è accusato, ma anche da quelli di cui non è accusato; e tutto questo produce un’impressione sfavorevole sulla giuria. Si tratta di una comoda scorciatoia quando si giudica un “mostro”. Ma chi decide se l’imputato è un mostro, oppure no?

 

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