Da Giano (Ianus) a gennaio
1ª parte
Capodanno è una festa di origine pagana. Nell’antica Roma segnava l’inizio delle celebrazioni dedicate al dio Giano. Come già accennato in altri miei articoli, il secondo re-sacerdote di Roma, Numa Pompilio, riformò il calendario romuleo di dieci mesi, aggiungendo due mesi: Gennaio e Febbraio. Dedicando a Giano il primo mese successivo al solstizio d’inverno. In seguito, con la riforma giuliana del 46 a.C., Gennaio divenne il primo mese dell’anno (in precedenza, l’anno iniziava il 1º Marzo). Primo mese dell’anno, Gennaio trae il nome da Giano, dio bifronte “Guardiano della Porta dell’anno”; perciò divinità preposta alle porte (ianuae in latino), ai passaggi (iani) e ai ponti; simbolo che gli conferirà il titolo sacrale di “Pontifex”, adottato poi dai Papi assieme alle due chiavi. Infatti, la divinità recava in mano, come i portinai (ianitores in latino; janitor in inglese), due chiavi e un bastone. Nel mito, Giano avrebbe regnato come primo Re del Latium, fondando una città (Gianicola) sul monte Giani-colo. Fu il re Giano ad accogliere il Dio dell’agricoltura e del tempo, Saturno, spodestato dal figlio Giove. Giano condivise con Saturno la regalità, connubio che sfociò nella mitica età dell’oro virgiliana, per cui l’Italia fu da questi definita “Saturnia tellus”, ovvero: Saturnia, Terra di Saturno. In cambio dell’ospitalità ricevuta e della regalità condivisa, Saturno, riconoscente, concesse al re del Latium, Giano, la sovranità sul tempo, concedendogli il dono di “Guardiano del passato e del futuro”, simboleggiato appunto dalla sua rappresentazione bifronte. Nel Pantheon romano, Giano presiedeva a tutti gli inizi, i passaggi e le soglie, materiali e immateriali, del tempo storico e di quello mitico. I due volti vegliavano nelle due direzioni: passato e futuro, mentre il terzo volto, invisibile, dominava i due tempi al loro punto d’incontro, cioè il presente.
Questa funzione conferiva alla divinità la custodia su ogni forma di passaggio e tutto ciò che riguardava un inizio e una fine; perciò, “guardiano della soglia”, di principio e fine della durata dell’anno. Dio romano del cambiamento, della fertilità, della nascita e dei passaggi; condizioni che permettevano di attraversare dimensioni non solo temporali, ma anche spirituali di “percorso e fine quale realizzazione”. La funzione di questa divinità non si limitava solo al passato e al futuro: la chiave del suo mistero era invisibile e impercettibile, poiché risiedeva nella terza dimensione del tempo, il presente, l’attimo immediato e, allo stesso tempo, sfuggente e irripetibile; il punto d’incontro necessario che congiunge il passato al futuro, ma eternamente cangiante poiché il presente, l’attimo, appena percepito è già passato. Una dimensione, questa, che racchiude il mistero del tempo: una percezione temporale tridimensionale, ove al passato e futuro si aggiunge la terza dimensione: il presente sfuggente, simboleggiato dal terzo volto invisibile del misterioso Dio Giano, sacra dimensione allegorica che simboleggiava un “tempo sacro atemporale”. Ecco cosa ci ha relegato il pensiero antico: una profonda spiritualità; dono, questo, pervenutoci direttamente ed esclusivamente dal genio italico, poiché di tutti i “geni loci”, Giano, assieme a Quirino, risulta essere una divinità prettamente italica. Al fine di carpire il significato profondo di celebrazioni quali il Natale e Capodanno, bisogna risalire alla fonte storica e al significato religioso originario dalla cui fonte promanarono. Questo breve excursus potrà apparire fuori luogo e fuorviante. A ciò rispondo che, se si vuol seriamente cogliere il significato e la portata di alcune nostre celebrazioni, credenze, superstizioni e folclore ancora vigenti, bisogna necessariamente risalire all’origine storica, religiosa e filosofica di alcune ricorrenze annuali del nostro calendario, poiché rivestono significati archetipali. Solo attraverso un lucido e metodico approccio parallelo e comparativo sull’origine, la storia e l’evoluzione di alcune ricorrenze e celebrazioni – oggigiorno sfociate in usanze ripetute annualmente, ma il cui significato profondo sfugge alla grande maggioranza – è possibile viverne la spiritualità ed il clima di Epifania da esse evocato. Solo così ci sarà permesso non solo di carpire l’evoluzione del pensiero antico, ma permetterci di riflettere sul cammino percorso dall’umanità e, soprattutto, poterci chiedere: chi siamo?
Da dove veniamo? Dove andiamo? Conoscere il passato vuol dire poter coglierne il frutto: il presente. Questa la condizione sine qua non per poter riallacciarsi al solco tracciato da ancestrali esperienze umane. Tutto questo non sminuisce affatto il valore del nostro Santo Natale, ma gli conferisce anzi una dimensione universale e immanente. Al fine di potersi orientare verso il futuro, è necessario riferirci ad una fonte di luce che viene da lontano.
(Continua)