ULTIM'ORA ADNKRONOS

Il lato oscuro della pace

 

Come Voltaire, faccio fatica ad accettare l’idea del buon Leibniz secondo cui, tutto sommato, viviamo nel migliore dei mondi possibili, con un demiurgo provvido organizzatore di una realtà che (sic!) minimizzerebbe i mali e massimizzerebbe i beni. Già. E tutto questo mentre il nostro pianeta continua a bruciare? Letteralmente e non, tra temperature in aumento, incendi devastanti e un’emergenza climatica inquietante da un lato e, dall’altro, tensioni geopolitiche, guerre frammentate e disuguaglianze sempre più marcate. Viviamo ormai una sorta di terza guerra mondiale atomizzata, dispersa in mille focolaî di conflitto che non sempre riconosciamo come tali. La pace, in questo scenario, diventa idea ambigua, densa di significati spesso contraddittorî. In fondo, se riflettiamo sull’etimo di pace, scopriamo che essa deriva dal latino pax, a sua volta legata al verbo pacisci, ovvero “pattuire, accordarsi”. Come dire che, in origine, la pace non era certo sinonimo di armonia spontanea, ma piuttosto il risultato di un accordo che imponeva stabilità attraverso regole e limiti.

 

Pubblicità

 

Ma allora, la pace è qualcosa che ci libera o che ci vincola? Nel linguaggio comune, la pace è spesso intesa come assenza di guerra; eppure, se guardiamo alla storia, scopriamo che molte epoche di pace sono state caratterizzate da oppressioni silenziose, da equilibrî imposti con la forza, da un’illusione di stabilità che celava ingiustizie. Pensiamo alla Pax Romana, periodo di relativa calma nell’Impero romano, ma garantito con il pugno di ferro delle legioni e con l’assimilazione forzata delle culture conquistate. La pace, in questi casi, era davvero una prigione dorata. Ma allora, come evitare il sospetto che l’idea di libertà si intrecci a filo doppio, ahimè, con quella di conflitto? Leibniz stesso risolveva il problema del Male con l’averci attribuito, Dio, la libertà di scegliere. Potremmo forse negare l’insegnamento della Storia secondo cui un mondo senza conflitti è impossibile? La natura stessa dell’essere umano si nutre del contrasto: idee che si scontrano, visioni che si oppongono, società che si trasformano attraverso il confronto. Il fatto è che lo scontro non è solo distruzione, ma anche energia creativa. Senza conflitto non ci sarebbe progresso, non ci sarebbero lotte per i diritti, per l’uguaglianza, per la giustizia. Nietzsche vedeva nella lotta un elemento essenziale della vita. Per lui, la volontà di potenza, l’impulso al superamento di sé, si manifesta proprio nel confronto con l’Altro, nel superamento delle difficoltà. In questa prospettiva, la pace intesa come completa assenza di scontri potrebbe rivelarsi una condizione stagnante, priva di vitalità. Credo si tratti, semmai, di ripensare l’idea di pace. Senza per questo rassegnarci a un mondo perennemente in conflitto. Forse, il problema sta nella dicotomia stessa tra pace e guerra, due concetti che spesso vengono visti come opposti assoluti. Esistono forme di conflitto non distruttive, forme di dialogo acceso che non sfociano nella violenza, modi di confrontarsi che generano evoluzione senza distruzione. La sfida del nostro tempo potrebbe essere proprio quella di ridefinire la pace: non più come mera assenza di guerra, ma come una condizione dinamica, capace di integrare il dissenso senza degenerare nel caos. Se accettiamo che il conflitto sia parte integrante della natura umana e sociale, allora possiamo imparare a incanalarlo verso esiti costruttivi. Un mondo in cui la pace non sia una gabbia, ma un campo di gioco in cui le differenze si incontrano senza annullarsi. Un equilibrio instabile, certo, ma forse più autentico e sostenibile. In un pianeta che brucia, sia metaforicamente che letteralmente, forse la vera sfida non è spegnere il fuoco, ma imparare a domarlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

NOTIZIE RECENTI