Rodolfo Di Carlo, questo sveglio, intraprendente, onesto immigrato italiano di Granby ci dà nelle pagine di «Vai dove ti porta il canto del cuore» (Granby, 2021) una descrizione da scalpellino e talvolta da orafo della sua giovinezza, in Abruzzo. Una giovinezza fatta di calore familiare, di pratiche di sopravvivenza, e di continuo lavoro con animali da cortile, con greggi, con cavalli, e fatta di ardite cavalcate e ogni anno di transumanze tra stazzi e tratturi dall’Appennino al mare; in Abruzzo, nel Lazio, nel Molise, fino in Puglia…
La vita di Rodolfo è intensa e a tratti quasi convulsa. Il ritmo della scrittura è rapido. Le immagini si succedono come in un film verità. I familiari di Rodolfo, gli amici, i vari personaggi dell’Italia di quel periodo, gonfio di speranza dopo gli anni bui della guerra, emergono dal libro con forza. Rodolfo è un giovane d’azione, forte, onesto, coraggioso con un grande senso del dovere, attaccatissimo alla famiglia, e si trova talvolta al centro di vicende che sfiorano il dramma.
Rodolfo ama profondamente i suoi nove fratelli – egli è il decimo, ultimogenito – e i meravigliosi genitori. La descrizione della morte del padre, Giampaolo, sopravvenuta quando Rodolfo aveva solo dodici anni, ha il tono cupo e violento delle tragedie. Nulla è sdolcinato o troppo sentimentale. La nostalgia non contamina di sciroppo la memoria di Rodolfo Di Carlo, essere sentimentale, sì, e fedele ai grandi principi, ma che resta un essere realista, vigoroso, combattivo, con i piedi su terra.
La sua scrittura, semplice e diretta, raggiunge talvolta toni quasi magici. Insieme con la voce degli animali e della natura sembra al lettore di udire nel libro certe note inquietanti di trascendenza e di mistero. Dalle semplici righe di Di Carlo emerge talvolta il criptico messaggio della Natura e della sua sacralità. Serpi e vipere, verso le quali egli prova una fobia che gli fa sfiorare talvolta il dramma, sembrano incarnare il Maligno anche nella maniera in cui all’improvviso irrompono nella sfera fisica e psichica di Rodolfo. Gli episodi in cui ci descrive invece gli animali che ama, e che comunicano con lui, sono altrettanto indimenticabili, per tenerezza.
Con grande delicatezza egli ci descrive il nascere dei suoi amori giovanili. Anche in ciò, la pagina reca il suggello prezioso dell’autenticità e dell’immediatezza. Ecco, ciò che colpisce è l’equilibrio, è il carattere sano, è la nobiltà di questo nostro “emigrante” vissuto al paesello fino ai 26 anni, quasi da nomade, da pastore della transumanza, e che è venuto a vivere, come tanti di noi, qui in Canada, cambiando totalmente vita. Il libro termina con la sua nuova vita canadese fatta di duro lavoro, di adattamenti culturali, di sorprese, con episodi divertenti ma in un paio di occasioni anche drammatici. Le pagine assumono in questa ultima parte un tono cronachistico, senza più quel senso di meraviglia degli anni giovanili quando egli viveva nella terra dei padri con l’animo gonfio di sentimenti.
L’intero libro è privo dell’amarezza, dei risentimenti per i torti subiti, per le inevitabili durezze della vita, per le delusioni; cose di cui mai parla. Parimenti è assente nel libro il trionfalismo dell’uomo arrivato. Il nostro Rodolfo oggi continua ad essere l’uomo di prima, fedele agli antichi princìpi dell’Abruzzo “forte e gentile”, per usare questa frase che per una volta, dopo aver letto questo libro, non suona più retorica alle mie orecchie. Quel piccolo mondo abruzzese, in cui egli è nato e si è formato continua ancora oggi ad essere un esempio per lui di valori, insegnamenti, ricordi ai quali egli rimarrà per sempre fedele. Esempio che merita di essere conosciuto da altri e merita soprattutto di essere tramandato idealmente ai suoi cari, che vivono in una terra così lontana da quel mondo.