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Il canto di un cuore abruzzese

L’autobiografia di Rodolfo Di Carlo, che non conosco personalmente ma al quale mi accomunano tante cose – Di Carlo è un immigrato come me – mi ha inondato di sentimenti, tra cui una piacevole sorpresa per le tante interessanti vicende che ci racconta. Nel libro («Vai dove ti porta il canto del cuore», Granby, 2021) ho ritrovato l’Abruzzo, terra alla quale mi sento legato anche a causa gli anni da me trascorsi, in un lontano passato, nel convitto nazionale Melchiorre Delfico di Teramo. Ma soprattutto in queste storie ho ritrovato la luce particolare che sa dare alle cose l’emigrare, con il suo iter quasi di morte e di rinascita, e i suoi tanti insegnamenti. Rinascita in un mondo fatto da altri ma che noi riusciamo gradualmente a fare nostro, talvolta con difficoltà, sempre con sacrifici, e che a un certo punto della nostra vita ci dà un prepotente desiderio di far conoscere anche agli altri le nostre scoperte, la nostra verità, il nostro viaggio, la nostra storia. 

 

Questa è la “letteratura dell’esilio” degli emigrati, che dopo una vita all’estero risuscitano il passato, le tante prove della vita, e soprattutto vogliono esprimere il loro amore per il piccolo mondo lasciato; il quale spesso non è altro che un minuscolo villaggio, affollato però dei volti degli esseri amati, e insostituibile per la sua unicità, i suoi panorami, i suoi odori e sapori, e i suoi tanti ricordi…   

 

L’espatriato è cambiato da allora.  È divenuto migliore, anche perché ha capito che prima della partenza, prima del viaggio oltreoceano, prima di quell’irrimediabile frattura del tempo, avrebbe potuto, dovuto essere felice, e forse, chissà, felice fu, ma se ne accorge solo adesso che quel mondo è ormai perduto. La testimonianza di Rodolfo Di Carlo si distacca da una certa letteratura dello sradicamento che è fatta di testimonianze talvolta un po’ patetiche, intrise, sì, di amore e di nostalgia per il paesello perduto, ma anche di amarezza per le ingiustizie subite e con un desiderio di saldare i conti con chi fu cattivo con l’autore. Intermesoli, Fano Adriano, Pietracamela, Prati di Tivo sono le magiche località da cui prende inizio la storia. 

 

Le pagine di questa sorprendente biografia, soprattutto quelle della prima parte consacrata all’Italia, lasciata nel 1968 per il Canada con l’inizio di una nuova vita, sono realistiche, trascinanti, intense, vigorose, gremite di vita, di eventi, piene di paesaggi montani, con boschi, prati, dirupi, animali, e talvolta anche con vipere e serpenti che Di Carlo ci presenta quasi come divinità del male.  

 

Nella seconda parte egli invece ci descrive la sua vita canadese, anzi quebecchese, fatta soprattutto di tanto lavoro, di iniziative di affari, con il conforto di una famiglia in crescita, unita ed affettuosa. È esemplare la maniera in cui Di Carlo descrive la sua vita in Abruzzo nelle zone montagnose che ho già citato, nelle vicinanze del Gran Sasso, questo monte mitico che tanto dice anche al mio cuore. Esemplare la sua scrittura perché viva, intensa, precisa, sui suoi familiari, su sé stesso da giovane, e sulla vita dei pastori.   

 

Pecorai, caprai, allevatori di bestiame, pastori: è un mondo affascinante su cui pochissimo è stato scritto, e sono quindi preziosi gli sguardi intimi che Di Carlo condivide con noi facendoci sentire i testimoni privilegiati di questo mondo abruzzese semplice, primitivo, addirittura ancestrale, ma come avvolto dal velo della lontananza e del mistero. Ma pieno anche di poesia. Penso in questo istante a “Settembre andiamo, è tempo di migrare…” di Gabriele D’Annunzio, versi meravigliosi che trasfigurano il reale.  (Continua)

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