La fine dell’anno ci spinge ogni volta a un bilancio. E a causa degli anni che inesorabilmente passano non è quasi mai un bilancio leggero. È necessario all’equilibrio di ognuno di noi il sentirsi legati all’angolo di terra che ci ospita, e integrati alla cultura e ai valori generali dell’epoca e dei luoghi in cui si vive. Ma l’invecchiare modifica il nostro rapporto con la patria adottiva. Si direbbe che, paradossalmente, con l’avanzare degli anni il legame ideale con la nuova terra, per certuni di noi, si attenui e di molto. Ma questo è un fenomeno noto: con la vecchiaia il passato si fa più importante e l’antica patria bussa allora con più forza alla porta del nostro cuore.
La lontananza non è solo una lontananza di luoghi. Se fosse solo questo, il ritorno fisico nel luogo amato porrebbe fine alle ansie. I momenti di quel “prima” – prima del viaggio fatidico, prima della frattura, prima dell’“estraniamento”, prima della caduta – non possono più tornare poiché il tempo è irreversibile. La frattura causa dall’emigrare anzi dall’esilio, con il “prima” e il “dopo”, ci ha dato coscienza del carattere tragico dell’irreversibilità del tempo.
L’emigrazione somiglia per certi aspetti a un iter religioso, a una prova iniziatica. Il viaggio fatidico e il trapianto in una nuova terra comportano l’idea della morte e della rinascita. Qualche volta questa dura prova dà luogo all’attribuzione inconscia di un carattere sacrale al luogo di nascita, cui infatti sono ormai connessi i miti del paradiso perduto e dell’eterno ritorno.
Le leggi dell’anima, in relazione all’emigrazione e al trapianto di un essere umano in un nuovo Paese, non sono ben conosciute. Gli studiosi della psiche hanno riservato scarso interesse al fenomeno del trapianto, della nostalgia, del vivere da minoritari in un mondo costruito da altri. Ma per noi queste leggi sono leggi reali, poiché noi le viviamo, le subiamo… Andando a vivere all’estero si entra nella dimensione del minoritario. Il vedere le cose dall’esterno, l’analizzare i valori e i comportamenti del mondo in cui ormai si vive, raffrontandoli ad un altro modello, sono stimoli potenti di penetrazione, d’intraprendenza, di creatività. Un essere minoritario, inoltre, non dorme mai sugli allori, a causa dell’incertezza del futuro. L’esempio degli Ebrei lo dimostra. La nostra esperienza particolare di esseri che hanno lasciato il proprio mondo per vivere nel mondo altrui presenta tanti aspetti oscuri che affondano nel magma delle leggi misteriose dell’anima.
Molti di noi, mettendo a confronto due mondi, quello in cui hanno vissuto e quello in cui vivono, non riescono più ad attribuire alle cose una certezza assoluta. “Le cose sono così ma potrebbero essere diversamente”, ecco il nostro ragionamento. Insomma, nelle abitudini, nei comportamenti, nelle maniere di fare, nostre e altrui, noi scorgiamo la relatività delle cose. Per esempio: quando si parla una lingua, cosa vuol dire “avere un accento”? Noi sappiamo che tutti hanno un accento. Ma chi appartiene alla maggioranza, il franco-quebecchese per esempio, è convinto di parlare “senza accento”. Ma noi il suo accento lo sentiamo, così come sentiamo l’accento degli italiani che, qui in Québec, parlano francese. Il nostro orecchio, il nostro sguardo, la nostra anima si sono fatti critici. Noi ormai sentiamo tutti gli accenti…
La forza del passato risiede nella sua certezza. Il futuro, ad una certa età, evoca il declino e addirittura la morte. Il passato è giovinezza, è vita. Il passato non è mai passato. Il passato è una forma di presente, ed è talvolta così forte da sovrapporsi ad esso. Ed ecco perché il bilancio di fine d’anno non è sempre facile per chi ha lo sguardo, spesso per ragioni di età, rivolto troppo al lontano passato.