Dal Corriera della Sera, in riferimento a Matteo Messina Denaro: “La caccia a pizzini o altra corrispondenza con ‘uomini d’onore’ o presunti tali per ora non ha dato i frutti sperati”. I mafiosi scrivono poco perché sanno che “scripta manent”; e gli scritti potrebbero essere un elemento di prova contro di loro. Ma gli uomini cosiddetti di rispetto, di scarso rispetto però per la lingua italiana, si vedono costretti a fare ricorso, in situazioni molto particolari, alla paginetta, all’avviso, al biglietto, al cartiglio, al pizzino, al papello; assimilabili, dopo tutto, a delle lettere raccomandate perché la notifica viene garantita da messaggeri ultrasicuri.
Un tempo vi erano le “lettere di scrocco”, messaggi anonimi rivolti ai proprietari fondiari con cui si esigeva una certa somma di denaro, che variava secondo i casi, per i “bisogni delle famiglie”. Oggi, a scrocco, i malavitosi ottengono molto di più e molto rapidamente con il semplice passaparola.
La trattativa Stato-Mafia, apertasi nel 1992 in seguito all’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, vide un serio impegno di scrittura da parte dei mammasantissima Totò Riina e Bernardo Provenzano, che ricorsero ai famigerati papelli (dal siciliano papeddu) o pizzini (dal siciliano pizzinu).
Un’edificante lettura da consigliare a tutti sono i pizzini di Bernardo Provenzano, pieni di nobili principi. Attraverso questi foglietti il temutissimo mafioso, ricercato da anni dalla polizia, comunicava regolarmente con i propri familiari e con il resto del clan. La criptica prosa di Provenzano obbedisce allo stile e alla logica della comunicazione mafiosa. Il suo, infatti, è uno scrivere ermetico, indiretto, trasversale, allusivo, metaforico, fatto di cose dette ma anche non dette, e carico di richiami biblici ed evangelici, e ricco di appelli ai nobili concetti di giustizia, amore, solidarietà, amicizia, famiglia, rispetto, fedeltà. Termini questi da intendere, beninteso, in senso mafioso.
È da sperare che le varie mafie importate, di cui è ricco il multiculturalismo italiano, e tra le quali mi limiterò a menzionare la mafia albanese, la mafia romena e la mafia nigeriana (quella nigeriana di Castelvolturno è una mafia ormai stanziale), sappiano arricchire il vocabolario italiano del crimine. Mi aspetto un contributo linguistico in particolare dai georgiani, secondi a nessuno per la loro perizia di scassinatori. Molti termini tecnici georgiani, da italianizzare beninteso, verrebbero così sbloccati a vantaggio della lingua di Dante, di Riina e di Messina Denaro.
Rivolgo un invito a tutti questi nuovi italiani così attivi nella penisola: italianizzate il vostro lessico del malaffare, le vostre espressioni criminose, i vostri termini malavitosi! Sarà da parte vostra un segno di ammirevole integrazione nella società italiana, onorata società in campo criminale, che a parte il suo ricco vocabolario malavitoso non ha granché da insegnare a voi gente di rispetto. E, aspettando questo vostro contributo linguistico, dopo quello sostanziale criminoso da voi già fornito, invitiamo i nigeriani ad italianizzare i nomi dei tre loro gruppi, oggi noti come Black Axe, Eiye e Vikings, che operano sotto una struttura verticistica, di cui io non conosco il nome originario ma che andrebbe ribattezzata “cupola nigeriana” o “commissione nigeriana”. Il tutto in omaggio alla lingua del Manzoni e a quella di Matteo Messina Denaro. Un omaggio dovuto alla nostra lingua, considerato il radicamento ben riuscito di questi ex “disperati” della Nigeria, divenuti a loro volta agenti di disperazione altrui nell’ex bel paese da cui sono stati benevolmente accolti.