10 febbraio 1947: a Parigi viene firmato il Trattato di pace, che entra in vigore il 15 settembre e stabilisce la cessione alla Jugoslavia di Zara, di Fiume e di quasi tutta la Venezia Giulia, inclusa la città di Pola. Rimane in Italia soltanto Gorizia. Si prevede inoltre l’istituzione del Territorio Libero di Trieste (TLT) con la città ed una sottile striscia costiera.
Negli esuli-emigrati, rimasti ancora in vita, anche dopo tanti anni vi è la continua presenza della storia, dei suoi eventi passati, delle sue tragedie, delle sue ingiustizie. La storia è entrata fin dalla nascita in noi. Una storia balcanica, riesplosa con i suoi eccessi anni dopo, con il crollo della Jugoslavia, avvenuto negli odi, nella violenza e nel sangue.
Ricordo le parole di Vito Maurovich (Ossero, Cherso, 1928 – Montréal, 2017) esule dell’Istria, persona notevole per le sue qualità umane, la coerenza, la laboriosità, la dirittura morale, e il coraggio: era fuggito dal paradiso jugoslavo dei lavoratori su una barca a remi. “Io a mio figlio non ho mai parlato della nostra tragedia, mi disse, per non creare in lui una ferita esistenziale.”

Vito dimostrò uno straordinario coraggio di fronte alla morte, tanto da volermi incontrare alla vigilia della sua dipartita. Era adagiato in un letto che il personale ospedaliero aveva provveduto ad installare a casa sua, affinché morisse tra i suoi. Non gli rimanevano, secondo i medici, non dico molti giorni, ma neppure molte ore di vita (aveva un tumore alla testa da cui fuoriusciva ormai continuamente, davanti ai miei occhi, del sangue), eppure mi parlò con una grande serenità del positivo bilancio della sua vita. Era contento di aver fatto fino in fondo, sempre, il suo dovere, e di non aver mai tradito i propri ideali.
Ma purtroppo noi stessi siamo una ferita. La sconfitta dell’Italia è stata la nostra sconfitta. Noi ne siamo i testimoni. E nessun capovolgimento o reinterpretazione del passato potrà per noi mutare una tale realtà, anche alla luce dei valori pur validi di fratellanza tra i popoli e di trionfo della democrazia (ma in Jugoslavia e nell’URSS trionfò la dittatura), anche se è una democrazia all’italiana fatta di una giostra di governi e di continui virulenti odi civili, in uno Stivalone dalle tante mafie e da una dilagante disonestà.
Oggi persino una visita all’ordinata, pulita, disciplinata Slovenia lascia l’amaro in bocca. A Capodistria, in piazza Tito, nell’ufficio turistico nessuno degli addetti parlava o accettava di parlare italiano. E anche all’ufficio informazioni degli autobus e corriere, dove ero arrivato da Trieste, sempre a Capodistria, ho dovuto rivolgermi all’addetto in inglese visto che la lingua italiana non veniva capita o semplicemente risultava sgradita. Forse preferiscono dar a intendere che non parlano italiano. Eppure le scritte bilingui sloveno/italiano sono quasi ovunque. Che sia ben chiaro: non sono rimasto scioccato e non ho sofferto minimamente della cosa. Il passato è passato. Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato… Le oscenità del periodo jugoslavo sono ormai una lontana memoria. La civiltà italiana di quel piccolo mondo è finita anni fa, sotto un tappeto di morti. Se non altro, nella nuova Slovenia e nella nuova Croazia non si vede un solo extracomunitario fare i propri comodi, perché in tal caso la reazione delle autorità e della gente presente sarebbe immediata. Ho anche l’impressione che questi due stati, cui si aggiungono la Serbia e gli altri territori della defunta Jugoslavia, scarichino o comunque facilitino la venuta da noi dei loro indesiderabili, di passaggio o locali. La vita per questi ultimi è molto più attraente nella disordinata, parolaia, ecumenica Italia, amante e propagandista – vedi Sergio Mattarella – del diverso straniero.