Da un giornale italiano: “Halloween suscita negli spettatori il gusto di abbandonarsi ad atmosfere oscure e spaventose per poter vivere al meglio quella che è conosciuta come la notte più spaventosa dell’anno”. Teste mozze, mostri, sangue, massacri sono gli ingredienti con cui fin da piccoli i nordamericani festeggiano questa ricorrenza basata sul gusto dell’orrido. A me, invece, le scene di morte e le amputazioni, anche se simulate, suscitano repulsione. La labilità del confine tra normalità ed eccesso è rivelata in
Nord America dalla presenza sempiterna del deforme, del violento, del macabro anche nei giocattoli, giochi, videogiochi, film, videoclip con immagini paurose che impregnano la psiche di tutta una popolazione fin dalla più tenera età.
Anche il nonnismo – “hazing” in inglese – e i vari riti di passaggio basati su umilianti sozzure fatte subire dagli anziani ai novizi rivelano la cronica passione americana per l’orrore. Che si pensi inoltre agli eccessi caratterizzanti feste e festini universitari in Nord America nelle varie confraternite, “animal house”, e durante gli “spring breaks” a Miami, Palm Beach ed altrove: sbronze colossali, sesso anonimo tra persone instupidite dall’alcol, comportamenti disgustosi e grotteschi acclamati dai presenti come “cool”.
Come se non bastasse, il cinema americano ha adottato una tecnica (che ha influenzato anche il cinema italiano): l’incupimento delle immagini. Interi film si svolgono di notte o comunque in penombra o addirittura al buio con attori che sono ridotti a semplici ombre. Il tutto tra sparatorie, torture, massacri, lotte all’ultimo sangue, esplosioni, secondo la celebrata formula che ha arricchito e continua ad arricchire i fabbricanti d’immagini e di ruoli etnici insediati ad Hollywood.
Un tempo, in Italia, i morti suscitavano soprattutto rispetto e paura. Oggi i giovani italiani si sono americanizzati. Si divertono anche loro con i morti, e sono sempre più numerosi i giovani italiani, maschi e femmine, cui si aggiungono i nuovi residenti approdati in Italia illegalmente, che tendono a bere fino a stramazzare. E ormai, ripudiando le atmosfere solari, anche il cinema italiano tende sempre più a celebrare il buio.
Mondialismo e globalizzazione mirano ad annullare le differenze. Il modello di vita e di civiltà, al quale ormai ci si ispira in quasi ogni dove del pianeta, è il modello unico: quello occidentale “all’americana”. La cultura a stelle e a strisce, soprattutto nei suoi aspetti più scadenti, ha già alterato l’identità di paesi deboli per dignità nazionale e per rispetto del proprio passato, vedi appunto l’Italia. In TV, giochi, personaggi, storie, trame di film, stili di ripresa, talk show tutto si è americanizzato nella penisola. La lingua italiana è farcita di anglicismi d’accatto. L’erosione del patrimonio identitario italiano continua inarrestabile. La cucina fortunatamente regge. La “panza”, se non altro, dimostra maggior gusto e dignità rispetto alla mente e al cuore degli italiani eternamente esterofili.
Questa riduzione “ad unicum” di mondi diversi è un fenomeno triste perché riduce la ricchezza di una tavolozza di colori – le culture dei vari paesi – a un paio di tinte obbligate, monotone e scialbe. Il bianco, il rosso e il blu della bandiera americana sono bei colori ma solo quando restano sul tessuto originale a casa loro, e non quando vengono grossolanamente riprodotti, al di fuori dei confini americani, da valletti e lacchè.
Ma purtroppo l’Italia è in prima linea in questo sgambettare e sculettare al suono della tarantella americana, che ha soppiantato la tarantella nativa.