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Guerra russa-ucraina: sì alla Pace, no al pacifismo
Un cartello con i colori rosso e blu della bandiera russa apparso in una marcia della pace in Italia

 

Siamo tutti per la Pace, che però deve essere giusta, equa e duratura, senza ambiguità o zone grigie. Una Pace fondata su un presupposto inequivocabile e inconfutabile: nella guerra tra Russia e Ucraina c’è un aggressore, Putin, ed un aggredito, Zelensky. Da una parte c’è un dittatore imperialista che, in pieno delirio totalitario, mira a tornare ai “confini storici” dell’impero zarista, dall’altra il presidente di uno stato libero, democratico e sovrano che difende legittimamente l’integrità territoriale del suo Paese e la dignità del suo Popolo. Da una parte c’è il carnefice, dall’altra la vittima. Un carnefice che dovrà rispondere degli atti criminali commessi, una vittima che va protetta ed aiutata “ad ogni costo” e “per tutto il tempo necessario”. Una realtà certificata dalle Nazioni Unite il 23 febbraio scorso, quando l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato – con 141 voti a favore, 7 contrari e 32 astenuti – una risoluzione in cui si chiede “la cessazione delle ostilità e il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze militari russe”. Lo stesso testo ribadisce “l’impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti” e sottolinea “la necessità di raggiungere, il prima possibile, una pace completa, giusta e duratura, in linea con la Carta delle Nazioni Unite”. Ergo: o con Putin, l’aggressore, o con Zelensky, l’aggredito. Tertium non datur. La scelta di campo è chiara, semplice, netta. Non c’è spazio per compromessi, accomodamenti, aggiustamenti, o acrobazie dialettiche. Brava la premier Meloni a richiamare subito all’ordine Salvini e Berlusconi. Un approccio cerchiobottista di democristiana memoria (“Sì, ma….”) sarebbe una non-scelta fuori dal tempo e dalla realtà. Ne è un esempio pratico la recente proposta di pax cinese che, mettendo l’aggressore sullo stesso piano dell’aggredito, è semplicemente irricevibile. Carta straccia. Non possiamo più voltarci dall’altra parte: la guerra alle porte dell’Europa ci interpella in prima persona. Siamo tutti chiamati a difendere principi e valori non negoziabili, come Libertà, Democrazia, Sovranità e Integrità territoriale. Oggi sono in gioco il Donbass e la Crimea, domani potrebbe essere il mondo libero tout court a finire sotto attacco. In Italia ci piace riempirci la bocca con vocaboli altisonanti come RESISTENZA e LIBERAZIONE, quando c’è di mezzo l’antifascismo (ultimamente tornato prepotentemente di moda in maniera pretestuosa e strumentale). Salvo poi rinculare quando la RESISTENZA e la LIBERAZIONE riguarda il resto del mondo. “Franza o Spagna, purché se magna”, ammoniva Francesco Guicciardini più di 400 anni fa, descrivendo alla perfezione un vizio nazionale che, in fondo, non è mai passato di moda. In occasione del primo anniversario della guerra russo-ucraina, dal 23 al 26 febbraio scorso, il popolo della “pace” è tornato a mobilitarsi con decine di eventi in oltre cento città in tutta Italia, accanto ad oltre settanta in Europa, tutte coordinate da ‘Europe for peace’. “Torniamo a chiedere cessate il fuoco, de-escalation militare e negoziati, perché oltre alle crisi che già osserviamo, il rischio di un conflitto nucleare è concreto”, ha dichiarato Sergio Bassoli, coordinatore della Rete italiana pace e disarmo e portavoce di ‘Europe for peace’. Nessuna condanna della Russia, nessuna difesa dell’Ucraina: l’importante è che si faccia la pace. Le condizioni sono marginali. Un carnevale negazionista. Come slogan, i soliti cliché anti-Atlantisti e una richiesta perentoria: “Stop all’invio di armi a Kiev”. Come se gli ucraini potessero difendersi per intercessione dello Spirito Santo. Populismo e demagogia allo stato puro. E ciò nonostante la Storia sia stata ampiamente ‘magistra vitae’: i dittatori non trattano, o vincono o muoiono sul campo di battaglia. I Romani lo avevano già capito più di 2 mila anni fa: “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). Purtroppo, ci sono alcuni italiani che, più che per la pace, si battono per essere lasciati in pace; badano al “particulare” e se ne infischiano dell’universale; ripudiano la Resistenza e ignorano la Liberazione di un altro popolo sovrano. Non cercano la pace, ma inseguono il pacifismo: in questo caso, la resa incondizionata di chi si difende da un’aggressione brutale. L’importante è che la loro fragile quotidianità non venga ‘sporcata’. Per fortuna, c’è un’altra Italia: quella del Colosseo e di Palazzo Chigi illuminati con i colori dell’Ucraina, un’Italia che si batte per una Pace giusta, contro un pacifismo di parte e di convenienza.

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