L’identità del Canada come nazione sovrana è stata fino ad oggi un’identità quasi fluttuante, come in cerca di ormeggi, di formule aggreganti, di un cemento unificante. Tutto ciò anche a causa dell’enorme squilibrio di forze esistente tra il Canada e gli Usa; con un lunghissimo confine, un’identica lingua e una cultura assai simile.
La forza economica americana e la geografia creano inoltre, attraverso l’intero Canada, legami e comunicazioni verticali nord-sud. Il Canada, Paese estesissimo ma che al Nord finisce nel nulla, è sottoposto a forze centrifughe tanto nella parte situata all’est che quella all’ovest di Ottawa, la capitale. Vancouver, ad esempio, è quasi una porta sull’Asia. In più, le province canadesi hanno delle prerogative quasi statuali.
Nel mare magnum anglofono nordamericano, il carattere dualista francese-inglese del Paese, con l’idea base dei due popoli fondatori, ha contribuito a fornire al Canada dei tratti storico-culturali originali. Ma questo fondamento identitario è stato fortemente insidiato dal trionfo del Multiculturalismo di Stato. Un Multiculturalismo fin troppo generoso, e quindi incubatore di nazionalismi importati e fautore di individualismi che difettano di spirito unitario.
In un Paese che non ha conosciuto né una rivoluzione né una guerra civile, e che ha visto l’adozione della bandiera nazionale con la foglia d’acero solo nel 1965, l’antiamericanismo come sentimento del suo popolo, e un po’ meno della sua élite, è da sempre un importante supporto “de facto” dell’identità nazionale. La frase “Noi non siamo Americani” è una maniera diffusissima dei Canadesi di affermare il proprio carattere distinto.

I canadesi hanno sempre provato difficoltà a spiegare ciò che sono. Sanno invece benissimo ciò che non sono: non sono americani. Il rigetto del modello americano li inorgoglisce, poiché non essere come gli americani – la cosa va da sé – è un titolo di merito: gli americani sono più violenti, non possiedono un forte senso della solidarietà sociale, attuano (o attuavano) il melting pot e non il multiculturalismo, sono meno sofisticati, hanno conosciuto una rivoluzione e anche una guerra civile, ecc. Eppure, in tutti i campi, il vero successo per i canadesi è quello ottenuto negli USA.
I tentativi di emancipazione dall’America non sono certamente mancati nel passato. I programmi e le misure adottati da Pierre Trudeau, padre di Justin, aumentarono le distanze tra il Canada e il gigante americano. Nonostante ciò, l’era di Pierre Trudeau si concluse con l’accentuazione del carattere americano del Canada, a causa del distacco di quest’ultimo dall’Inghilterra; conseguenza sia del rimpatrio della Costituzione sia dell’introduzione della Carta dei Diritti Umani con il nuovo ruolo svolto dai giudici della Corte Suprema nell’interpretazione della Carta stessa. Il Multiculturalismo di Stato in un Canada teoricamente bilingue, e multiculturale, è la grande eredità lasciata da Pierre Trudeau. E anni dopo, Justin Trudeau, suo figlio, attraverso un Multiculturalismo quasi mistico, basato sul culto della diversità, del mondialismo, della globalizzazione, e del politicamente corretto, ha mirato a fare del Canada un Paese addirittura “transnazionale”. Subordinato sempre, tuttavia, al potentissimo vicino. Occorre dire che la pandemia ha per un certo periodo ristabilito e accentuato la normale funzione divisiva della frontiera canado americana.
La minaccia di Trump di fare del Canada il 51º stato degli USA, seguita dall’operazione economica di tipo quasi terroristico dei dazi, ha inferto una tremenda scossa all’identità canadese. Vedendosi minacciati dal prepotente vicino di casa, e decisi a difendere la propria preziosa identità storica, i Canadesi si sono allora stretti a falange uniti da un encomiabile, forte sentimento di destino nazionale collettivo. Hanno ritrovato, insomma, quello spirito unitario che si afferma con forza in un Paese nei momenti di guerra. Anche se in questo caso è una guerra condotta attraverso le offese e i dazi doganali. Che, però, infrangono le certezze e fanno terribilmente male.