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Gli Usa e la democrazia fondata sulle armi

IL PUNTO di Vittorio Giordano

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Gli Usa, che storicamente si autoproclamano la ‘patria della democrazia’, tanto da esportarla nel resto del mondo, ergendosi a ‘gendarme buono’ (al netto del disarmo Obamiano degli ultimi anni), si scoprono vittime della propria supposta  superiorità. Traditi proprio da quel modello democratico che, in realtà, sembrerebbe essere tutto tranne che un esempio da emulare. Un modello che sta implodendo sul fronte interno, mostrandosì più che mai debole e vulnerabile. Intendiamoci: l’America resta la prima democrazia moderna con una costituzione scritta, promulgata nel 1789, che sancisce la sovranità popolare come fondamento imprescindibile e stabilisce l’equa suddivisione dei poteri. Un sistema che ha visto il mito americano convincere flotte di immigrati a salpare per il Nuovo Mondo alla ricerca delle “magnifiche sorti e progressive” che, spesso e volentieri, si sono rivelate una realtà tangibile ed effettiva. Il successo della democrazia statunitense, del resto, è da sempre legato all’idea di multiculturalismo: a quella capacità, cioè, tipicamente americana di dare vita ad un melting pot, una società omogenea, in cui i diversi componenti tendono ad armonizzarsi all’interno di un’unica cultura. Diffondere la democrazia, poi, è da sempre nel dna a stelle e strisce, a partire dall’internazionalismo liberale di Thomas Woodrow Wilson, passando per la Guerra fredda di Ronald Reagan, l’interventismo liberale di Bill Clinton e l’unilateralismo di George Bush, fino alla promozione multilaterale dei valori americani di Barack Obama. Un modello collaudato, insomma, che però, negli ultimi tempi, sta lanciando segnali di insofferenza inquietanti. Come se quegli stessi anticorpi che ne hanno preservato l’eccezionalità, ora siano alla base del suo rovinoso cedimento. Gli ultimi eventi di Dallas rischiano di far precipitare l’America nella peggiore crisi razziale degli ultimi decenni. Paradossalmente, proprio nel periodo storico che vede un afroamericano, Barack Obama, alla guida del Paese. Una nemesi spaventosa. Troppo lunga è la lista di afroamericani morti ammazzati senza motivo dai poliziotti: i decessi di Alton Sterling, abbattuto senza ragione, e Philando Castile, ucciso mentre cercava il portafoglio per prendere i documenti di identità, sono solo la punta di un iceberg. I dati sulla disparità nel Paese sono lampanti: l’80% dei fermati per controlli a New York City sono neri o ispanici; e, in media, i neri americani sono condannati a pene più lunghe del 10% rispetto ai bianchi. Ma ciò che indigna ancora di più la comunità afroamericana è l’impunità degli agenti responsabili. Come se ammazzare un nero fosse meno grave, un effetto collaterale tutto sommato accettabile. E quindi da insabbiare. L’America sembra essere ripiombata negli anni ‘50 e ‘60, quando non sono mai stati veramente perseguiti i colpevoli di centinaia di neri ammazzati. Come un’abitudine secolare difficile da estirpare. In un Paese in cui la tensione razziale sta superando i livelli di guardia, ad alimentare la faida tra poliziotti e afroamericani, non può che essere la facilità di accesso alle armi da fuoco, il cui abuso, diffuso e compulsivo, rischia di infiammare una situazione già esplosiva. Secondo l’Iriad-Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, negli Stati Uniti ogni anno oltre 30.000 persone rimangono uccise dalle armi da fuoco. Inoltre, la media giornaliera è di 30 vittime e la metà di loro sono giovani, di età compresa tra i 18 e i 35 anni; addirittura un terzo sono giovanissimi, di età sotto i 20 anni. Il diritto a possedere armi è peraltro sancito dalla Costituzione: il possesso e il porto di un’arma costituisce un diritto civile protetto dal secondo emendamento. Oggi gli USA sono tra i Paesi la cui popolazione è tra le più armate al mondo: i dati del Congressional Research Service parlano di 357 milioni di armi da fuoco in circolazione, su una popolazione di circa 319 milioni di abitanti. Insomma, per le strade americane è più facile imbattersi in un rivenditore d’armi che in un “bar”. Il rapporto è di 6 a 1. Il caffè di Starbucks con i suoi quasi 11mila negozi perde su tutta la linea contro i 65mila rivenditori, che nel 2015 hanno venduto armi da fuoco. Una realtà cristallizzata: tanto che il Parlamento stesso è ostaggio della potente lobby della ‘National rifle association’ e non riesce a modificare le leggi. Uno stallo percepito dai cittadini, i quali, il giorno successivo a un fatto tragico, puntualmente si armano ancora di più per difendersi meglio. Nella migliore tradizione del “Far West”. È questa la democrazia fondata sulle armi, di cui l’America va tanto fiera e che vuole esportare nel resto del mondo? Francamente, se i presupposti sono i grilletti facili e la polizia che uccide gratuitamente, possiamo anche farne a meno. Per noi, “Il buono, il brutto, il cattivo” era e resta solo un celebre film di Sergio Leone, dalla colonna sonora coinvolgente, arrangiata da Ennio Morricone.

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