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Giù le mani
dal ‘Made in Italy’

IL PUNTO di Vittorio Giordano

GIUSTI

La gastronomia italiana, si sa, è tanto ammirata quanto taroccata in ogni parte del mondo. Da Nord a Sud del globo, infatti, le eccellenze culinarie del Belpaese vengono ‘deturpate’ in ogni modo e spacciate per prodotti ‘Made in Italy’. La falsificazione di prodotti alimentari, grazie al famoso italian sounding, fa perdere al vero ‘Made in Italy’ oltre 60 miliardi di euro di fatturato all’estero. Di questi, circa 4 miliardi sarebbero ‘sottratti’ proprio in Canada. Con gli italo-canadesi che, loro malgrado, contribuiscono – con tutta la buona fede di questo mondo – ad alimentare l’equivoco.

A lanciare il grido di allarme è Emanuele Giusti (nella foto) analista di mercato senior presso ICE Agenzia, la delegazione commerciale d’Italia a Montréal, che nei giorni scorsi ha denunciato la contraffazione del Made in Italy sulle colonne de ‘Le journal de Montréal’. “Se sulle etichette dei formaggi e dei salumi – ha dichiarato Giusti – non c’è scritto ‘Made in Italy’, allora la gente non sta comprando un vero prodotto italiano”. Purtroppo, però, “basta un nome come ‘Parmigiano’ o ‘Prosciutto di Parma’ o una bandiera tricolore sulla confezione perché la gente si sbagli, pensando che i prodotti arrivino dall’Italia”.

Incuriositi, abbiamo contattato Giusti, che ci ha spiegato meglio il concetto: “Se ci sono dei prodotti tipici, di indicazione geografica, che vengono realizzati in Paesi altri, rispetto a quelli di origine, è chiaro che si pone un problema”. E qui entrano in gioco gli italo-canadesi: “Nessuna accusa, anzi: è giusto rendere loro omaggio per ciò che hanno fatto. In Canada, così come negli Usa e in Australia, fino a qualche anno fa, i formaggi ed i salumi non potevano entrare per questioni sanitarie. Mi sembra perfettamente normale che gli italiani emigrati abbiano voluto continuare a mangiare le cose a cui erano abituati. Hanno continuato a soddisfare la domanda di altri italiani, producendo le cose che conoscevano”. I tempi, però, sono cambiati: “Se tu mi produci un parmigiano o un prosciutto di Parma, visto che oggi l’industria italiana può esportare questi prodotti, entriamo in conflitto, o quanto meno in concorrenza. Bisogna evitare di fare confusione: il consumatore deve avere le idee chiare”.

E qui interviene la legge: “Sui prodotti alimentari, oggi la legge canadese impone etichette con ingredienti e tavola nutrizionale, affinché il consumatore possa fare una scelta ragionata”. Spesso, però, la confezione può trarre in inganno: “Se c’è scritto ‘spaghetti italiani’ e magari c’è anche una bandierina tricolore, il consumatore pensa di comprare un prodotto italiano”.

La soluzione potrebbe arrivare dal CETA, l’accordo siglato tra Unione europea e Canada, che dovrebbe essere ratificato a inizio 2017: “I prodotti realizzati in posti altri, rispetto al Paese di denominazione geografica, devono indicare sulla confezione frasi come ‘di stile italiano’. Siccome ci sono dei nomi che sono diventati generici perché di uso comune, come maccherone o spaghetto, basta dire ‘spaghetti di stile italiano’. In questo modo, come consumatore, posso fare una scelta più consapevole e immediata. È vero che sull’etichetta c’è scritto ‘Made in Italy’ oppure ‘Made in Canada’, ma chi è che lo va a leggere? Gli imballaggi sono studiati per suscitare delle reazioni istantanee e le legislazioni sull’etichettatura sono state messe a punto per dare delle risposte immediate. Alla luce del CETA, quindi, per molti prodotti, in particolare quelli protetti, non si potranno adoperare le denominazioni protette; e il nome generico potrà essere adoperato aggiungendo la dicitura ‘stile italiano’ o ‘genere italiano’”.

Un caso limite è il prosciutto Parma. “Legalmente il prosciutto ‘Parma’ è un marchio di un’azienda canadese. La conseguenza è che, ad oggi, il vero prosciutto di Parma Dop viene venduto sugli scaffali canadesi come ‘Prosciutto originale’. L’azienda canadese ha tutte le ragioni giuridiche di questo mondo, avendo registrato il marchio negli anni ’50. Ma il consumatore cosa ne sa?”.

Il brevetto, dunque, prevale sulla denominazione d’origine: “Il Canada non poteva andare contro le sue stesse leggi sulla protezione intellettuale”. La soluzione trovata è quella di far coesistere i due marchi: “Il prosciutto del consorzio italiano potrà commercializzare il suo prosciutto col nome ‘Prosciutto di Parma’, senza incorrere in alcuna azione legale”.

Impossibile, poi, dimenticare il caso del parmigiano: “Il Parmigiano Reggiano è conosciuto in tutto il mondo come parmigiano. Ma non siamo sempre certi di comprare quello italiano. Negli Usa sta scoppiando un enorme scandalo, perché sembra che contenga un alto tasso di cellulosa, ma si tratta di parmigiano di produzione americana. E il parmigiano reggiano che viene dall’Italia ne risente, perché il consumatore fa l’equazione ‘parmigiano=cellulosa’. Ha un’idea del danno economico?”.

A risentirne è l’immagine stessa del Belpaese, perché le specialità tricolori sono frutto di tradizioni e territori unici e inimitabili. Fermiamo la pirateria agrolimentare!

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