“La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana, viva, viva la Befana!”. Molti ricordano ancora questa filastrocca sulla Befana della nostra infanzia in Italia. Nell’immaginario collettivo, la Befana è rappresentata da una vecchietta con naso adunco che viaggia su una scopa e porta doni a tutti i bimbi. È sempre rappresentata curva, sotto il peso di un sacco stracolmo di giocattoli, caramelle e cioccolatini per i meritevoli, ma anche cenere e carbone per i non meritevoli.
Una volta i regali erano costituiti di arance, frutta secca, caramelle, mostaccioli, qualche cioccolatino e l’immancabile cenere e carbone per i cattivelli. Ricordo quando ansiosi, noi bambini, disponevamo le calze più grandi appese alla cappa del camino. Per noi piccini era tutto un ansioso tramestìo. Eravamo posseduti dai preparativi e dall’attesa. La vigilia dell’Epifania era lunga, e la serata lo era ancora di più; infine, stanchi, con le palpebre pesanti, ben presto ci addormentavamo. Poi, stranamente mattinieri, ci svegliavamo e di filata si correva alle nostre rispettive calze.
Ma non per tutti era una bella sorpresa. La befana premiava solo i bambini bravi; gli altri, i monelli o le monelle, rischiavano di trovare cenere e carbone! Ma anche per i cattivi, alla fine, la delusione ed il disappunto venivano mitigati dall’intervento premuroso dei genitori, che rassicuravano il cattivello o la cattivella: la Befana “ci aveva ripensato”, era ritornata sui suoi passi e aveva lasciato il regalino anche a loro, a condizione di essere più bravi in futuro! Eventi vissuti, semplici, ma significativi. Considero che l’Epifania, nella sua accezione, costituiva (e dovrebbe ancora costituire) un evento per celebrare la famiglia; era un’occasione d’insegnamento, di effusione di affetti, di scambi e di promesse, ma soprattutto una manifestazione del DONO. Non per niente, appena in possesso delle famose calze colme di leccornìe, ci si ritrovava tutti sul letto dei nostri genitori, festeggiando insieme l’ebrezza del DONO!
Dono nel ricevere per noi, e dono nel dare per i nostri genitori. E il cerchio si chiudeva, manifestando nel profano l’irrompere del divino, Epi-fania, cioè presenza divina che è A-MOR! Tanto può un simbolo archetipale! Quasi sempre, dietro ogni celebrazione tradizionale vi è nascosto un significato profondo che si perde nella notte dei tempi e le cui radici derivano da antiche tradizioni pagane e precristiane. La versione moderna di Babbo Natale, tipica del mondo anglosassone e americano, assieme alla Befana mediterranea costituiscono residui di antichissimi simboli legati all’Epi-fania, ossia: l’antica celebrazione di una manifestazione divina, vale a dire l’irrompere del divino simboleggiato dalla rinascita (Natale) della Luce (solstizio).
Il termine stesso “Befana” deriva dal greco (Epiphàneia) e vuol dire “Manifestazione divina”. È il periodo in cui il Divino si manifesta, inaugurando l’inizio della nuova fase dell’anno appena cominciato. Dunque, Epifania quale dono divino che inaugura l’inizio verso un nuovo ciclo vitale, rappresentato da un punto fatidico dell’anno (Punto Vernale Boreale dell’Ariete), un parametro annuale fatale, che segna la discesa del divino negli animi e sulla Terra. Purtroppo il costante e tenace lavorìo sincretico operato dalla chiesa ha reinterpretato in chiave cristiana l’antico mistero propiziatorio evocato dal divino che irrompe nel tempo. Così l’antica “Manifestazione divina”, a livello liturgico cristiano, fu ridotta al Dono dei Re magi, mentre nel profano alle figure di Babbo Natale e della Befana.
Ma è difficile estirpare un simbolo quando quest’ultimo è un archetipo. Ed ecco perché troviamo residui simbolici precristiani in seno alle stesse figure simboliche proposte dal Cristianesimo e dal folclore. È il caso della “cenere e carbone”: un ennesimo residuo, simbolo di vili rimasugli della brace degli antichi fuochi propiziatori della Fede pagana. Su questa linea di pensiero, la figura della “vecchia Befana” assurge a simbolo dell’anno appena passato, un anno ormai vecchio proprio come lei (preludio alla “vecchia” della Quaresima). Inoltre, la Befana dispensatrice di doni richiama un’eco lontano, inerente ad un’antica tradizione matriarcale risalente alla Mater Matuta, Cerere, anch’essa dispensatrice di doni.
Intorno all’anno 1000 a.C., con l’irrompere degli indoeuropei nella storia, apparve l’ordinamento religioso olimpico patriarcale. Questo spiega la celebrazione contemporanea della figura patriarcale del nostro Babbo natale, a sua volta residuo dell’antico dio GIANO, anch’egli dispensatore di doni. Quest’ultimo pateticamente scimiottato dalla Coca Cola con l’immagine di un omone brioso con gote rubiconde che dispensa doni a bordo di una slitta trainata da renne. Tanto può una società di consumo. Così “Epiphaneia”, parola greca che sta per “manifestazione divina, apparizione”, è volgarmente ricordata dalla Befana e da Babbo Natale.
Quanto ai Re Magi, non erano re, ma sapienti (dal greco “magoi”, poi dal latino “magi”, cioè saggi, sacerdoti del mazdaismo) che, come ha detto il grande Benedetto XVI appena deceduto, “scrutavano il cielo per trovare Dio”. Così il simbolo antico dell’Epiphàneia (Epifania della liturgia cristiana), ricorda la ricorrenza in cui Dio si manifesta nel Bambino Gesù (Nascita del Re dei re di tutti i popoli della Terra). Era logico per la chiesa che l’omaggio dei Magi fosse un omaggio da re ad un supremo sovrano, cioè, Gesù. Cosi i Magi divennero re, e i loro doni rispettivi furono: la mirra che allude alla Passione, l’oro che allude alla regalità e l’incenso che allude alla divinità.
(Conclusione)