Una delle espressioni più belle della libertà risiede nell’errore. Che è, a mio parere, cosa diversa dallo sbaglio, intendendo con questo la perdita improvvisa della prospettiva che, abbagliandoci, ci induce a decisioni non giuste, non utili. L’errore, no; l’errore ha qualcosa di voluttuoso, di sensuale, tanto da spingerci, a volte, alla diabolica perversione della sua ripetizione, tanto ne siamo attratti. L’errore vive in una dimensione dinamica, in quel vagare desideroso di incontri fortuiti con una Bellezza che rifugge ogni premeditazione. Perché, forse non ci si serve dell’errare nella creazione, quando l’inventare è un invenire, un “trovare’’, spesso fortuitamente, soluzioni inaspettate, che evadono da ogni calcolo previo? Non c’è artista che non abbia percepito, a volte, la sensazione di essere stato, egli stesso, soggetto passivo di una creazione che lo abbia esautorato, che lo abbia, in qualche modo, preceduto. Pensiamo alla Poesia: in fondo, essa “ci’’ racconta – intendendo quel “ci’’ come un complemento oggetto diretto -: la Poesia racconta noi, noi che non siamo altro che scribi inconsapevoli di un messaggio che giunge proprio da un errare del pensiero, da questo nostro meraviglioso errore nell’atto di stabilire concatenazioni logiche e quotidiane. Un errore che, involontariamente, ci rivela, ci espone e tenta di definirci. L’errare diventa strumento conoscitivo, momento di scandaglio del nostro inconscio, forma di un nostro divenire necessaria e insostituibile. Non credo a una crescita personale che non abbia fatto esperienza dell’erranza, dello smarrimento e del bisogno di sciogliere i nodi dell’impasse che l’esistere ci presenta. Essere liberi (se la Libertà esiste, ma questo è un altro discorso) è anche e soprattutto sentirsi liberi di errare. Quindi, anche di fallire.

    Mi piace dire che la Bellezza è l’Imperfezione in movimento.