Un quadro e una foto. Il dipinto, opera di Paul Klee, si chiama Angelus Novus. La foto, invece, ritrae il terrore di un bimbo durante il raid nazista nel ghetto di Varsavia. Un tratto in comune: le ali dell’angelo e le mani del bambino sono angosciosamente levate al cielo. Ma l’indirizzo del loro sguardo è differente. Quello del giovane esprime la dolorosa incredulità di chi si vede strappato con violenza all’affetto di chi lo ama; è uno sguardo rivolto a un futuro sanguinante di disperanza. Se, invece, esaminiamo il dipinto, ci accorgiamo che gli occhi dell’angelo di Klee procedono in una direzione opposta alla posizione naturale del suo corpo: nell’interpretazione del filosofo del materialismo storico Walter Benjamin, la testa dell’angelo, infatti, sembrerebbe ruotare di 180 gradi, quasi posseduta satanicamente, e guarderebbe il passato, cioè noi, fruitori dell’opera, mentre le ali sospingono la creatura divina verso un futuro, anche qui, come nella foto del bimbo, non accettato e percepito con terrore. Malgrado le differenze, in entrambi i casi, quindi, il domani è percepito angosciosamente. E il passato? Nel dolore del bimbo, il passato sembra essere implorato mentre egli osserva, atterrito, il futuro. Similmente, nel movimento dell’angelo, che immaginiamo sospinto verso il futuro dal vento del Paradiso, il passato è meritevole di cura ed è agognato perché forzatamente abbandonato alla catastrofe degli eventi. A distanza di un secolo dal dipinto (l’opera è del 1920) e di ottanta anni dall’Olocausto, qual è il sentimento del nostro andare verso la Storia? Abbiamo fiducia nel futuro? C’è ancora chi crede nelle leopardiane “magnifiche sorti e progressive’’? La confusione di questo nostro viaggio verso il domani, la scomparsa di un’idea di progresso che sappia davvero coinvolgere ed appassionare le masse (e qui, la responsabilità della politica è immensa), una certa, come dire?, voluttà di sradicare tutto “tanto per’’ hanno come contraccolpo movimenti restauratòrî, retrotopici (direbbe il sociologo Bauman), che favoriscono muri, nazionalismi, intolleranza e una nostalgia malata. Come non ricordare Pasolini quando scriveva che “quello che ci incita a tornare indietro è tanto umano e necessario quanto quello che ci spinge ad andare avanti’’?
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